Licenziata causa blog

Licenziata senza tanti complimenti per aver pubblicato contenuti “not work appropriate”. E’ successo a Jessica Zenner (foto), blogger autrice di “Inexcusable Behavior” messa alla porta niente meno che dalla Nintendo. Ora, sebbene non sia la prima volta che ciò accade, l’ennesimo caso di licenziamento causa blog tra i tanti segnalati dalla Electronic Frontier Foundation solleva una questione importante: se infatti è giusto che l’azienda si tuteli qualora un proprio dipendente pubblichi contenuti inappropriati, riservati, diffamatori o semplicemente sgraditi, molto meno giusto è invece che, in tempi come questi, le aziende non approntino una “blogging policy” specifica e circostanziata che suggerisca la “retta via” ai blogger/dipendenti.

Quando, infatti, la Zenner si difende dicendo che non esiste una qualsiasi “formal policy about personal blogs” in Nintendo e l’azienda risponde semplicemente “we generally don’t encourage them”, secondo voi chi ne esce con il danno di immagine peggiore?

E ancora: a poco serve ignorare il fenomeno dei social network e le implicazioni generate dalla loro crescente diffusione negli ambienti di lavoro. Quindi datevi una svegliata, studiateli, e imparate a conoscerli in tempo per dire ai vostri dipendenti come comportarsi prima di dover ricorrere ad inutili quanto costose “azioni repressive”.

Tutte spese legali risparmiate da reinvestire subito in crescita e sviluppo.

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7 pensieri su “Licenziata causa blog

  1. svaroschi

    Sono curiosa di sapere cosa abbia fatto precisamente questa dipendente…Divulgato segreti della Nintendo? Criticato qualcuno?

    E comunque fai delle ottime riflessioni finali.
    Pensi che l’ambiente aziendale possa essere recettivo rispetto a questo genere di cose?

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  2. Anonimo

    Intanto grazie. Per risponderti: il caso della Zenner non è il primo e non sarà l’ultimo. Personalmente credo anzi che cose come queste accadranno sempre più spesso, specie in italia. Inutile reprimere, minacciare, sanzionare quando basterebbe mettersi d’accordo e accettare da ambo le parti (dipendente vs datore di lavoro) che il blogging “privato” resta tale finché non tira in ballo gli interessi dell’azienda. Serve mettersi d’accordo, darsi una regola. Fare patti chiari, per godere di un’amicizia lunga.

    Insomam serve una policy. Condivisa, chiara, concordata.

    Purtroppo la verità è che la maggior parte delle aziende nel mondo ( e praticamente tutte in italia), non sanno di cosa stiamo parlando

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  3. Giuliano Prati

    Secondo me bisogna capire le reali ragione del licenziamento. Se ha fornito online informazioni riservate sull’azienda, allora viene da se che ha violato implicitamente la policy aziendale. Secondo il mio modesto parere una “blogging policy” sarebbe totalmente inutile, basta applicare le regole generiche che l’azienda impone per il trattamento di informazioni riservate. Al massimo si può pensare di estenderla, ma mi sembra alquanto inutile dover indicare con precisione DOVE la policy va rispettata (blog, social network, IM, ecc).

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  4. svaroschi

    Anche se non so quale sia il motivo immagino che non si tratti di divulgazione di informazioni aziendali. In quel caso non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di tirare in ballo il “not work appropriate”, dato che spesso i dipendenti firmano al momento dell’assunzione dei documenti che impongono loro di non diffondere informazioni aziendali riservate

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  5. Anonimo

    Allora, per fare chiarezza: diciamo che la ragazza non ha divulgato segreti dell’azienda ma, in un post, ha sparlato di una collega:

    “One post on Zenner’s blog—titled “The Daily Weed”—begins with her disputing her friends’ perception that she is a pothead. She digresses into a wry tirade against one of her bosses: “One plus about working with [a] hormonal, facial-hair-growing, frumpy [woman] is that I have found a new excuse to drink heavily,” Zenner writes. “My gut tells me that this woman hasn’t been fucked in years.”

    via: http://tinyurl.com/2dlska

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