Oggi su Affari&Finanza di Repubblica Ernesto Assante torna a parlare dell’infinita “battaglia dei diritti d’autore” in corso tra Youtube (ovvero Google) e una serie di “titolari di copyright”, dove quest’ultimi sembrano più che mai decisi a far cancellare i propri contenuti dal noto sito di video-sharing. Dopo Viacom e l’italiana Mediaset, ora è la Warner che attacca frontalmente il servizio creato da Chad Hurley, Steve Chen e Jawed Karim e chiede cancellazioni a tappeto.
Recentemente ho avuto il piacere di incontrare Marissa Mayer, vicepresidente Search Products & User Experience di Google, e di parlare con lei dei motori di ricerca del futuro. Alla fine dell’incontro, non ho potuto fare a meno di chiederle un commento sull’azione legale che Mediaset ha intentato l’estate scorsa nei confronti di Youtube e della quale, peraltro, ancora non si conosce l’esito.
La risposta è stata diplomatica ma ferma: senza mai nominare l’azienda di proprietà di Silvio Berlusconi, la Mayer si è limitata a ricordare come funziona Youtube e a sottolineare cosa significhi realmente “gestirlo”: «Noi non possiamo controllare a priori tutti i contenuti che vengono caricati sul sito – ha spiegato – perché filtrare di 57mila nuovi video a settimana è semplicemente impossibile. Però chiediamo a tutti i nostri utenti di aiutarci e di segnalare ogni abuso dando loro contemporaneamente gli strumenti necessari per farlo».
Traducendo, nella visione di Google, Youtube (e, più in generale, tutti i servizi del web2.0) è “patrimonio comune”, ovvero un servizio che ha bisogno della collaborazione di tutti non solo per esistere e funzionare quando questi “caricano” contenuti, ma anche per essere disciplinato e impedire gli abusi.
E per “tutti” la Mayer intende anche (se non per primi) gli stessi detentori dei copyright che oggi chiedono “giustizia”: «Per loro abbiamo realizzato il programma “Video ID” – taglia corto – grazie al quale in qualsiasi momento possono bloccare, promuovere o persino monetizzare i video caricati su Youtube». Sta a loro decidere.
Insomma, se si vuole vedere rispettati i propri diritti (d’autore), basta chiederlo. Prima di farlo, i diretti interessati farebbero tuttavia meglio a domandarsi se, nell’era del web 2.0, sia davvero giusto restare asserragliati nelle caverne a difendere un principio che, così com’è, ormai puzza di muffa e recessione.