Qualcosa è cambiato: è un “uomo nuovo” e inevitabilmente diverso da ciò che era solo 5 anni fa quello che oggi entra in azienda, siede al suo posto di lavoro, svolge i suo compiti. Quando varca la porta dell’ufficio, lo fa portando in dote quella abitudine alla condivisione della conoscenza che ha fatto propria frequentando la “parte abitata della rete” – come l’ha chiamata a ragione Sergio Maistrello – vivendo ogni giorno la propria esistenza digitale su social network come Facebook o Twitter, dove raccoglie, consuma, rilancia e, sempre più spesso, produce un’infinità di idee, spunti contenuti.
E dove, nel privato, impara nuovi linguaggi e nuove regole di interazione aperti e trasparenti, che nascono per essere pubblici e condivisi. Nuovi codici di comunicazione e interazione che, come suggerisce il Venture Capitalist americano Greg Horowitt, nel momento in cui entrano in azienda creano le condizioni per la nascita di «un nuovo modello business basato su un nuovo contratto sociale». Un modo diverso di fare impresa in virtù del quale, oltre che riconoscere il talento e cercare in tutti i modi di farlo emergere e sostenerlo, «è altrettanto fondamentale che tutti partecipino alla costruzione di un ecosistema in cui esso possa prosperare», lasciandosi alla spalle la competizione ad ogni costo.
Quindi ben venga in azienda il “dipendente aumentato”, che più o meno volontariamente si fa ambasciatore e protagonista dell’apertura e della libera circolazione delle informazioni come valori chiave nello sviluppo del business; quello che come rivela Derrick de Kerckhove, direttore del McLuhan Program in Culture and Technology, è «un information broker, un soggetto naturalmente predisposto allo scambio di informazioni utili agli altri». In altre parole, un «uomo diverso, abilissimo nel creare connessioni e che presto assumerà un ruolo sempre più importante nella comunicazione corporate, interna ed esterna».
Veniamo da – e purtroppo in molti casi siamo ancora in – un mondo corporate dove il controllo e difesa delle informazioni sono potere, garantiscono rendite di posizione. Ma la nuova realtà nella quale ci muoviamo è – come spiega il direttore di Wired, Chris Anderson – «un mondo nuovo, nel quale l’azienda si lascia alle spalle una cultura imprenditoriale fondata sul segreto industriale e ha successo perché scommette su collaborazione e condivisione delle idee, delle risorse e delle competenze».
Gli strumenti per attuare la rivoluzione di cui parliamo non mancano: sempre più le intranet integrano tool mutuati dal cosiddetto web 2.0, grazie ai quali gli utenti creano vere e proprie “piazze virtuali” dove incontrarsi, confrontarsi, accumulare conoscenza anche e soprattutto rispetto all’esecuzione di task e compiti specifici. Così è ad esempio possibile accumulare e catalogare best practice che vengono stratificate e restano a disposizione di tutti per essere consultate e ampliate. E quando la condivisione del sapere viene gestita in modo orizzontale e aperto, allora il talento ha l’opportunità di emergere da luoghi e in modalità prima impensabili, le idee di fiorire incontrando favore e mille preziose integrazioni, mentre si incontrano competenze che prima non sarebbero mai entrate in contatto, generando nuove opportunità.
Ovviamente tutto questo diventa possibile a patto che si verifichi un «radicale cambiamento di approccio da parte del management». Come fa infatti notare Josh Bernoff, co-autore di “L’onda anomala” e “Empowered”, le aziende oggi hanno bisogno di “Hero”, ovvero di “Highly empowered and resourceful operative”, dipendenti creativi e capaci di usare le tecnologie mutuate dal web 2.0 per creare valore in azienda rivoluzionando sia la comunicazione interna sia quella esterna. E che hanno bisogno prima di tutto del sostegno tecnico, culturale e legale a livello corporate per realizzare il proprio potenziale.
Le persone hanno fatto propri gli strumenti della rete e, usandoli, stanno cambiando profondamente. Ciò si riflette sulle loro attività private così come su quelle pubbliche. Quando sono in azienda, questi uomini nuovi rappresentano un’immensa opportunità da cogliere per svecchiare un sistema ormai in perenne affanno.
Non farlo, oltre che uno spreco è un lusso che nessuno può più permettersi.
(articolo originariamente pubblicato su “Sincronizzando“)