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Foursquare e i “check-in furbetti”, la posizione ufficiale del co-fondatore Selvadurai

Foursquare è la mania del momento. Improvvisamente il bisogno difendere la propria privacy da occhi indiscreti pare passato del tutto in secondo piano, schiacciato dalla necessità impellente di usare servizi di geolocalizzazione per dire ai propri contatti “io sono qui” e, spesso, aggiungere anche dettagliate informazioni su cosa si stia facendo.

Lunedì scorso sono stato all’ambasciata statunitense di Roma, dove ho avuto il piacere di incontrare e intervistare il co-fondatore di Foursquare Naveen Selvadurai, in visita in Italia per partecipare ad alcuni eventi tra cui anche un incontro organizzato da Telecom Italia – Working capital.

Prima di scrivere un pezzo più articolato dove trattare tutti gli argomenti toccati nell’intervista, vale la pena soffermarsi brevemente su un aspetto assai discusso in queste ore:

Secondo molti, infatti, Foursquare consentirebbe troppo facilmente agli utenti di “barare” mentendo sulla propria posizione, esercitando di fatto controlli molto meno fiscali di altri servizi concorrenti. Non solo: i più smaliziati avanzano addirittura l’ipotesi che proprio a questa “tolleranza” si debba parte del successo stratosferico ottenuto dal servizio, il quale in 18 mesi ha raggiunto quota 3,5 milioni di utenti a livello globale.

Impossibile quindi non togliersi lo sfizio di chiedere lumi a riguardo direttamente a Selvadurai, quindi aspetto prudentemente che finisca l’intervista e poi vado giù secco:

«Alcuni maligni sostengono che parte del vostro successo dipende anche dalla facilità con cui si può barare nei check-in».

Naveen ci pensa su un attimo e risponde:

«Noi lasciamo che gli utenti facciano check-in dove vogliono perché crediamo ci sia un contratto sociale che impedisce loro di mentire sulla propria posizione. Se tu non sei nel posto dove dici di essere, la verità è che stai mentendo ai tuoi amici, che nell’informazione che stai condividendo non c’è nessun valore per loro. E’ come uno status update su Twitter – aggiunge – se dici che sei a Milano e invece sei a Roma è stai semplicemente raccontando una bugia». E le bugie non si dicono.

Il ragionamento è chiaro: a Foursquare si fidano dei loro utenti e fanno appello al loro codice etico per un uso appropriato e moralmente corretto della piattaforma. Se poi essere di manica un po’ più larga ha in qualche modo contribuito al loro successo – aggiungo io – allora tanto meglio, ma è solo un effetto collaterale. L’importante è che a Foursquare credono nell’onestà dei propri utenti.

O quasi. Spesso infatti fare un check-in “furbetto” significa vedersi sbeffeggiare dall’app di Foursquare mentre ci dice che il nostro telefono “pensa” (esatto, “pensa”) che noi siamo un po’ troppo lontani dal posto in cui pretendiamo di essere. In tal caso si può anche andare avanti nella procedura, però il sistema non concede né punti né badge.

«Riguardo a questo – spiega Naveen – ciò avviene perché abbiamo avuto alcuni problemi con persone che baravano dicendo di essere in luogo specifico per ottenere premi o badge. Quindi abbiamo fatto in modo che, se la rilevazione del GPS non è abbastanza accurata nel fornire la posizione, in pratica consigliamo di rifare check-in più avanti».

Chiaro e anche condivisibile.

Ma non si era detto che ci fidiamo? ; )

Risorse:

Interessante la discussione stimolata qui da Massimo Cavazzini, che ieri ha posto a Selvadurai la stessa domanda.