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Su L’Espresso per parlare di PA e software open source

Su L’Espresso in edicola da oggi, intitolato “Partitopoli” (da pagina 114), un nuovo pezzo questa volta dedicato al tema dell’adozione di software open source nella Pubblica Amministrazione. Ne parliamo con Ernesto Belisario (Diritto2.0), Luca Nicotra (Agorà Digitale), Elio Gullo (INPS/ Enpals), Renzo Davoli (Assoli) e Carlo Iantorno (Microsoft Italia)

Come al solito, eccone l’incipit:

In principio era la Provincia di Bolzano. Nel 2009, il caso delle sue 83 scuole di lingua italiana migrate all’open source fece scalpore e fu persino oggetto delle “Good News” di Report su Raitre. E a ragione, visto che i costi si riducevano di un ordine di grandezza, passando 269mila euro l’anno spesi in licenze per sistemi operativi e suite di office automation, a 27mila euro investiti in manutenzione di software libero.

Sono passati quasi tre anni e, con la crisi che incombe e i tagli nella PA, sarebbe lecito aspettarsi che una simile esperienza sia stata replicata un po’ ovunque nel Paese, alleggerendo non poco le spese fatte con i soldi dei contribuenti. Non è così. “A fare scuola a livello internazionale ci sono le esperienze del Governo brasiliano guidato da Lula, che ha operato una transizione quasi totale della macchina pubblica al software libero, e poi ancora quelle del Venezuela o della Francia”, racconta Luca Nicotra, segretario nazionale di Agorà Digitale.

Qui da noi, invece, le esperienze virtuose balzate agli onori della cronaca ci sono ma non sono ancora abbastanza:

(Il resto su L’Espresso in edicola e prossimamente anche online su espresso.repubblica.it)

Brunetta: La PA è la palla al piede dell’Italia

“Fannulloni che allevano bamboccioni”. Con queste parole Luca de Biase, moderatore a Roma della tavola rotonda della “Giornata Nazionale dell’Innovazione 2008”, riassume l’intervento di Renato Brunetta nel quale il ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione stigmatizza i mali della PA italiana.

I “fannulloni” secondo Brunetta sono i policy maker, i nostri politici che, nel ruolo di datori di lavoro dei dipendenti pubblici, non fanno il loro dovere, sono assenti, disinteressati. In loro assenza, i dipendenti pubblici (divenuti “bamboccioni” appunto) si demotivano, non fanno bene la loro parte causando il blocco del sistema e, di conseguenza, quel ritardo di 15 anni nell’innovazione evidenziato dal secondo rapporto COTEC (presentato sempre oggi da Riccardo Viale).

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