
Ieri è iniziato l’atteso Web 2.0 Summit. L’evento è stato inaugurato da un “question-and-answer talk” tra John Battelle e il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg. In jeans e sandali, il giovane imprenditore americano ha riferito, senza dare cifre, che la raccolta dei finanziamenti è stata quasi completata e che, nei prossimi tre mesi, la gestione della pubblicità sul popolare social network dovrebbe registrare cambiamenti.
Dalla chiacchierata sono emersi anche un po’di numeri su Facebook e sulle sue prospettive di crescita: secondo Zuckerberg, l’azienda vanta 45 milioni di utenti e oltre 6mila applicazioni. Tali applicazioni vengono realizzate da una comunità aperta che riunisce circa 100mila sviluppatori. Pensateci:
si tratta di una forza lavoro enormemente più produttiva di quanto non potrebbero essere da soli i 300 dipendenti dell’azienda (che diventeranno 700 entro il prossimo anno), i cui risultati confermano come l’aver aperto le porte di Facebook a terze parti abbia pagato e stia pagando assai bene.
Un successo che, alla fine, ha convinto anche il management di Myspace: durante un altro “question-and-answer talk” cui hanno partecipato Rupert Murdoch e Chris DeWolfe, rispettivamente proprietario e co-founder di MySpace, mentre il primo si diceva piacevolmente sorpreso dall’inatteso successo del social network, il secondo annunciava ufficialmente l’apertura della piattaforma a “third-party developers”. Una mossa, questa, evidentemente mirata ad annullare il vantaggio acquisito da Facebook applicando la formula, semplice e geniale, del “prendete e sviluppatene tutti”.
Morale della favola: due social network in piena ascesa, forti di un immenso successo di pubblico, hanno investito o stanno per investire in un sistema aperto che consente a chiunque non solo di utilizzare servizi, ma anche di portare valore creandone sempre di nuovi.
Pensate alla vostra reazione se qualcuno avesse profetizzato qualcosa di simile solo cinque anni fa.