Oggi ho avuto il piacere di incontrare ed intervistare per circa un’ora Marten Mickos, CEO di MySQL negli ultimi sette anni ed oggi Senior VP del Database Group in Sun.
E’ stata un’esperienza interessante, della quale darò puntualmente conto su questo blog nei prossimi giorni. Intanto anticipo qui un aneddoto relativo al blogging in azienda emerso tra una domanda e l’altra.
Mickos mi ha raccontato che, recentemente, una sua decisione è stata duramente criticata da un suo dipendente-blogger. Questi, piuttosto adirato, ha reagito scrivendo un post nel quale parlava senza mezzi termini di “Insanity of the decision”.
Immaginate se una cosa simile fosse accaduta in Italia: dopo cinque minuti, l’irruento blogger si sarebbe ritrovato a cercare un nuovo lavoro mentre l’azienda, in preda al panico, avrebbe iniziato a pregare (se non a minacciare) Google affinché cancellasse dalla propria cache qualsiasi traccia del post “galeotto”.
Non solo: dal momento che le conversazioni online avvengono in tempo reale, una serie di lettere con oggetto “cease and desist” sarebbero partite dall’ufficio legale del’azienda verso tutti quei blogger che, inveitabilmente, avrebbero riepreso e rilanciato a loro volta il post di critiche. E’ già successo, e più d’una volta.
E cosa ha fatto invece il CEO di MySQL? Un po’ se l’è presa, certo: in fondo l’ammutinato è sul suo libro paga e, comunque, prima di ribellarsi pubblicamente avrebbe anche potuto scrivergli una lettera chiedendo spiegazioni e palesando le ragioni del proprio dissenso.
Eppure il ribelle non è stato cacciato né punito o minacciato. Mickos gli ha scritto, c’è stato un (forse anche duro) chiarimento e – fate bene attenzione – il dipendente-blogger ha presentato le sue scuse per poi rimediare al torto non cancellando il post, ma integrandolo con un commento. In questo modo la cronistoria dei fatti è restata integra on line, a disposizione di tutti e a futura memoria.
Quando gli chiedo come mai non abbia imposto che la critica fosse eliminata da internet, Mickos risponde, sorridendo:
“E’ il suo blog. Era arrabbiato ma in buona fede. Non ha fatto la cosa più intelligente del mondo, ma non sarebbe servito a nulla imporgli di cancellare tutto. Che senso ha per me censurare un dipendente quando poi non ho nessun controllo sulle milioni di voci indipendenti che sono la fuori?”
Già, pensateci: in piena era del web2.0, che senso ha?
Marten è un illuminato, merce rara ovunque.
Mi mandi il link del blog del suo dipendente a cui ti riferivi?