E’ un buon momento per i ragazzi di Blogo: da un lato Dada conferma loro la propria fiducia portando la partecipazione nel nanopublishing network dal 30 al 70 per cento. Dall’altro, Magnocavalio&Co vedono passare sotto la propria diretta gestione alcuni tra i marchi storici di proprietà del gruppo guidato da Paolo Barberis. Tra questi figurano “Splinder, Guide di Supereva e altre properties come Cinema.it, Barzellette.it, Architettura.it e B.I.G”.
Fatte le dovute congratulazioni, mi è sembrata l’occasione giusta per riproporre un pezzo pubblicato su queste pagine oltre un anno fa e che, a rileggerlo ora, potrebbe tranquillamente essere stato scritto questa mattina.
Il che non è affatto un buon segno.
Tratto da “Nanopublishing de Noantri” del 25/06/2007
… Cominciamo con lo sgomberare il campo dagli equivoci: anche io credo sia un bene che i media tradizionali e, più in generale, le grandi aziende italiane si stiano finalmente accorgendo dell’esistenza del nanopublishing. Dada che entra in Blogo o IlSole24ore che entra in Blogosfere sono per più d’un verso un segnale positivo.
Ma anche no:
in questo Paesotto da terzo mondo il nanopublishing, che pure dimostra di funzionare egregiamente in contesti più civilizzati e meglio cablati, non decolla. Non arrivano gli investimenti pubblicitari con la “I” maiuscola, i soldi veri, e con loro la possibilità di investire, progettare e sviluppare per chi sulla microeditoria scommette ogni giorno da anni danaro, tempo e credibilità.
Quello che arriva è invece il Google di turno che rileva, finanzia, compra. Lo fa mostrando di credere nel nuovo, ma lo fa col coltello degli investimenti pubblicitari dalla parte del manico, mettendo sul tavolo una forza contrattuale quasi impossibile da fronteggiare e, per questo, inevitabilmente vicina al ricatto.
Di chi è la colpa? Ma di chi quegli investimenti pubblicitari raccoglie e poi gestisce, e prima ancora di chi li fa. Per vigliaccheria o per pigriza costoro continuano a puntare sugli stessi cavalli vincenti. E i proprietari delle scuderie a loro volta si ritrovano nelle tasche quintali di pubblicità in eccesso da veicolare un po’ ovunque. Perfino su “questa roba trendy e un po’ anarchica del nanopublishing”.
In tutto questo, chi fa vera innovazione si ritrova davanti a un bivio: essere inghiottito impietosamente oppure procedere solo verso un futuro tutto da decifrare, ostacolato dall’ignoranza delle agenzia media che sembrano capire solo un paramentro, il numero degli utenti unici. Parametro la cui soglia minima di interesse, curiosamente, raddoppia ogni due mesi. Lungi da loro qualsiasi concetto di comunità, di fidelizzazione dell’utente, di pubblico di nicchia super-selezionato, interessato e partecipe. Qui o si fa il ROI o si muore.
Insomma: main stream media e aziende sembrano essersi accorti del nanopublishing e reagiscono comprandolo, copiandolo o facendo entrambe le cose. Il primo motore di ogni iniziativa editoriale, nonché la più potente arma in sede di trattativa, è come sempre la raccolta pubblicitaria, e tale resterà finché non verranno fuori altri modelli sostenibili di Business. E la pubblicità continua imperterrita a finire nelle solite tasche, lontano da quella microeditoria cui poi approda comunque per vie traverse.
Se questo è il nuovo che avanza, c’è poco da stare allegri.
beh, io intanto faccio i complimenti a ludo & C. poi vediamo chi ha ragione.
🙂
a
aaaaaggghh è vero, non c’entra più nulla con blogo. caspita come sono rimasto indietro.
a
Come non darti ragione? Pensa che ad un incontro con il sole24ore in cui c’eravamo tutti 🙂 ho persino detto che è una vergogna e che questa cosa affossa il mercato…
Ma è cambiato nulla in un anno? No.