Fra poco più di un paio d’ore sarò ospite di Antonio Pavolini e Marco Traferri a “Mutazioni digitali”, un ciclo di incontri “sull’impatto dei nuovi media sulla creazione e sulla fruizione della cultura, dell’informazione, dell’intrattenimento.
L’incontro di oggi (è disponibile lo streaming video in diretta e on demand) , ospitato nell’area convegni della FNAC presso il centro commerciale Porta di Roma, si intitola “Arriva la Coda Lunga: mai più ‘grandi successi’?”, e torna ad esplorare l’affascinante teoria abilmente argomentata nel 2004 dal direttore di Wired Chris Anderson.
Il caso vuole che, esattamente un anno fa, in queste ore volavo a Milano proprio per incontrare ed intervistare quest’ultimo, con il quale ebbi la possibilità di fare una lunga ed interessante chiacchierata. L’occasione mi sembra quindi adatta per riproporre qui il pezzo che da quell’intervista è scaturito. Buona lettura.
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Conversando con Chris Anderson
(english version here)

Quando il direttore di Wired Magazine viene in visita a Milano, ospite della Ruling Companies Association, l’unica è prendere il primo treno e andare ad intervistarlo. Fortuna vuole che Chris Anderson sia non solo l’autore dell’ormai famoso libro “The Long Tail” (2006), ma anche un giornalista e un blogger che sa ben apprezzare una conversazione in puro stile web2.0.
Con mezz’ora abbondante a disposizione, abbiamo chiacchierato amabilmente di “Coda Lunga” e della libertà di scelta che essa finalmente concede al consumatore, ma anche della cosiddetta “social networking revolution” e di come questa stia influenzando il modello economico descritto da Anderson nella sua affascinante teoria.
Teoria che, dopo due anni di studio e approfondimento, l’editor-in-chief di Wired ha ritenuto opportuno estendere oltre i confini del solo media and entertainment market, ipotizzandone l’applicazione praticamente in qualsiasi contesto commerciale.
Non è mancato il tempo per parlare anche di come il suo blog abbia giovato alla qualità e alla popolarità del libro, della Rete in generale e persino di come il genitore Anderson gestisca, insieme con la moglie che odia la tecnologia, l’approccio alla Rete dei giovani figli.
In chiusura poi, una rivelazione inattesa: l’Italia è la nazione dei mercati di nicchia ed è da secoli avanti a tutti nella Long Tail Economy. La tecnologia moderna non fa altro che consentire agli altri Paesi di recuperare il ritardo finora accumulato. Una teoria forse un po’ troppo ottimistica, ma affascinante.
Alessio Jacona: Sono passati tre anni dalla pubblicazione del suo articolo intitolato “The Long Tail” su Wired. E’ ancora corretto dire che “The biggest money is in the smallest sales.”?
Chris Anderson: “Dipende da che cosa s’intende per “smallest sales”. In generale le “Coda Lunga”, costituita da tutti i prodotti oltre il mercato di massa e oltre i successi di vendite, è anche la parte del mercato che cresce più velocemente in qualsiasi settore industriale. A volte rappresenta un terzo del business, a volte addirittura la metà. Dipende da dove s’impostano la “Testa” e la “Coda” nell’analisi, ma basta guardare all’industria musicale per capire cosa è accaduto da quando il pubblico si è allontanato dai “campioni di incassi” per andare verso un infinito numero di nicchie.”
AJ: Chi trae vantaggio dal modello economico della Long Tail? I creatori di contenuti, le piccole aziende, le grandi aziende o il consumatore?
CA: “Il vero vincitore è fondamentalmente il consumatore. Una “scelta infinita” significa che puoi trovare ed avere quello che vuoi, che puoi esplorare nuove cose ed abbassare notevolmente i costi di tale esplorazione. I vantaggi per i produttori a volte sono economici, ma ci sono anche altre forme di guadagno: reputazione, attenzione, traffico.
Tradizionalmente eravamo portati a pensare che solo una cosa potesse motivare la “produzione”: il denaro. Oggi invece si scopre che molte altre cose possono motivare la creazione e, grazie a molti e diffusi strumenti di produzione e distribuzione, stiamo scoprendo quante siano le persone desiderose di creare per ragioni che non hanno niente a che fare con il guadagno.”
AJ: Brian Clark di CopyBlogger obietta che a trarre vero vantaggio dalla Long Tail Economy sono solo aziende come Netflix e Amazon, ovvero degli aggregatori di contenuti/prodotti.
CA: “E anche Google, certo. Ogni aggregatore. Questa teoria secondo cui la “Coda Lunga” funziona solo se serve a far soldi, è frutto di una visione piuttosto limitata. Personalmente sto tentando di far conoscere le virtù della “non-monetary economy”, ma si direbbe che non stia avendo molto successo perché la gente continua a fare lo stesso errore. Ad ogni modo, è vero che i primi beneficiari economici della Long Tail sono gli aggregatori, ma anche io e te siamo lo stesso beneficiari in quanto consumatori. La gente che carica video su Youtube, i bloggers, ecc., sono beneficiari allo stesso modo, anche se non ne traggono guadagno economico diretto. Credo che questa ristretta visione “denaro-centrica” del mercato sia un errore, e spero di riuscire ad insegnare alla gente come sottrarsene.”
AJ: Lei ha definito tre regole da seguire per le aziende coinvolte nella Long Tail Economy. La terza dice: “Aiutami a trovare ciò che cerco”. Prima c’era “Amazon.com recommendations”, mentre ora c’è la cosiddetta rivoluzione dei network sociali, il paradiso del passa-parola. Pensa che questa nuova realtà stia influenzando il modello economico della “Coda Lunga”?
CA: “E’ di certo il più grande “filtro” che il mondo abbia mai conosciuto. Molte persone, quando pensano a cercare qualcosa in rete, hanno in mente Google. Il motore di ricerca non fa altro che misurare il passa-parola basandosi sugli “incoming links” per poi organizzare la rete di conseguenza. Credo che, prima ancora dei social network, la stessa creazione dell’hyperlink sia stata un modo per prendere il passaparola e trasformarlo in qualcosa che le macchine potessero capire ed usare come filtro. Quindi ciò che vediamo oggi non è poi così nuovo.
Di nuovo c’è invece il sorgere di un social networking più “esplicito”, e troviamo traccia di questo fenomeno a partire da Friendster per arrivare fino ai più attuali Facebook e MySpace.
E’ un po’ come avviene per le playlist, che sono un modo per scoprire la musica usando il “tappeto magico” del gusto altrui. In questo senso, le playlist sono un’iniziale forma di social networking, la cui base si fonda su due individui che scambiano informazioni mentre uno fa da guida all’altro.
Oggi questo modello viene applicato via via a qualsiasi cosa: se ho la possibilità di osservare le tue abitudini di acquisto o di consumo dei media, di vedere dove vai o cosa fai – che è esattamente il modo di “vivere in pubblico” tipico del social networking – è come creare una playlist che influenzerà i miei gusti.
Parliamo di qualcosa che ormai è più potente dell’advertising.”
AJ: Quindi il social networking si baserebbe su una vecchia abitudine – il passa-parola – enormemente potenziata da internet?
CA: “Il web è esattamente questo: il più grande amplificatore di word-of-mouth al mondo.”
AJ: Lei ha cinque figli. Come gestisce il loro approccio alla rete? Sente il bisogno di proteggerli?
CA: “Gran bella domanda e, come tutti i genitori, non ho una risposta soddisfacente. Tutti i miei figli hanno meno di dieci anni e mia moglie, che odia la tecnologia, non gradisce troppo che usino il computer. So che è abbastanza ironico, essendo io il direttore di Wired, ma è così. Naturalmente io amo la tecnologia, ma amo di più mia moglie e quindi abbiamo trovato un compromesso: tendiamo a controllore e limitare molto l’uso di internet da parte dei nostri figli.
Per esempio, lasciamo che usino Google solo in modalità “safe search”, non permettiamo che frequentino MySpace o World of Warcraft e facciamo in modo che usino solo social network adatti ai bambini, come “Club Penguin”.
Ciò detto, trovo anche molto interessante il fatto che a scuola insegnino loro ad usare Wikipedia per iniziare una ricerca, ma anche e soprattutto che impongano loro di cercare sempre una seconda fonte, in puro stile giornalistico, per verificare le informazioni. In questo modo Wikipedia non è più la fine della ricerca, ma solo l’inizio.”
AJ: Lei ha deciso di scrivere un libro e, quasi contemporaneamente, ha iniziato un blog ad esso dedicato. Le è stato d’aiuto nello scriverlo? E nel venderlo?
CA: “Come dico sempre, il blog ha reso il libro migliore ma in ritardo. Mi ci è infatti voluto più tempo per scriverlo proprio perché i blog sono davvero impegnativi e tendono a distrarti.
Ciò detto, credo che il blog abbia fatto soprattutto tre cose: in primo luogo, l’articolo è uscito nel 2004, il libro nel 2006 e la mia prima preoccupazione era che in due anni la mia idea sparisse, fosse rubata o semplicemente perdesse il momento propizio. Aprire il blog mi ha consentito di colmare il vuoto temporale tra l’articolo e il libro, mantenere viva la conversazione.
Poi ho scoperto che il blog mi stava aiutando anche a scrivere: i miei lettori fornivano così tanti esempi, suggerimenti, correzioni da rendere l’opera un “progetto di ricerca distribuito”.
E quando è venuto infine il momento di pubblicarlo, avevo già dalla mia parte un’audience di circa 50mila visitatori al giorno che sono diventati un motore di marketing basato sul passa-parola.”
AJ: Possiamo dunque definirlo il suo “corporate blog”?
CA: “In un certo senso, ma dal momento che il progetto è stato realizzato in pubblico, conversando con i lettori, non c’è stato realmente bisogno di promuovere il libro. Credo che i lettori stessi lo abbiano percepito come frutto di un lavoro di gruppo e che quindi abbiano desiderato promuovere non solo il mio lavoro, ma anche qualcosa che avevano contribuito a realizzare.”
AJ: Lei ha iniziato descrivendo i benefici della Long Tail Economy nell’industria dei media e dell’intrattenimento on line. Nel libro si spinge oltre, spiegando che questi principi sono ugualmente applicabili ad altri mercati. Potrebbe fare qualche esempio?
CA: “La Long Tail funziona perfettamente nell’industria dei media e dell’intrattenimento on line. Ormai è un fatto assodato. Ma dopo che il libro è uscito, sono rimasto sorpreso da quanti esempi di Long Tail sono emersi che non avevano nulla a che fare con internet. Poco dopo la pubblicazione del libro la Anheuser-Busch, un grande produttore di birra statunitense, ha creato una nuova divisione chiamata “Long Tail Libations”. Incuriosito, ho chiesto loro cosa fosse la Long Tail Beer e la risposta era sostanzialmente un più ampio numero di prodotti indirizzati a consumatori di nicchia.
Una delle loro bevande più recenti è una birra senza glutine pensata espressamente per celiaci. Quindi ho domandato come mai un prodotto simile abbia dovuto attendere il 2007 per vedere la luce. La birra è fatta con il sorgo, non con il frumento o l’orzo, ed era già conosciuta dagli egiziani.
Mi è stato spiegato che “l’effetto Long Tail” visto in internet è semplicemente uno specchio di qualcosa di più ampio che sta accadendo in tutta la nostra cultura. Mentre diventiamo più ricchi e più preparati nel fare le nostre scelte come clienti, diventiamo anche più giudiziosi, sviluppiamo un gusto più raffinato. E’ per questo che una volta c’era solo il caffé mentre oggi invece Starbucks ne offre ben 36mila variazioni.
Oggi ci troviamo a Milano, che è il luogo di nascita del mercato di nicchia dell’alta moda (che vende piccole quantità di merce a prezzi molto alti). In un certo senso, la teoria secondo cui i consumatori giudiziosi non vogliono prodotti pensati per la massa, qui da voi è del tutto convenzionale.”
AJ: Lei osserva la rete da un punto di vista privilegiato: è solo un nuovo medium o è qualcosa di più?
CA: “Non so più cosa vogliano dire parole come “media”, “giornalismo” o “news”. In teoria io sarei nel settore dei media, direttore di Wired Magazine, ed invece eccoci qui, tu ed io, due bloggers che parlano di qualcosa che apparirà in rete ma non è giornalismo né news. E’ una conversazione.
La Rete è semplicemente qualcosa di umano, è la nostra società resa esplicita. La parola Media viene da Medium, significa qualcosa che si frappone tra me e te e in questo caso potrebbe essere anche solo l’aria che ci separa. Questa parola aveva un certo significato per gli antichi, ha rappresentato qualcosa di progressivamente diverso per noi e ora credo abbia perso significato. Credo ci serva un termine nuovo.”
AJ: Come vede l’Europa e, specialmente, l’Italia? Qui si ha sempre l’impressione di accusare un ritardo tecnologico di quattro o cinque anni rispetto al resto del mondo.
CA: “Io la penso diversamente: credo che il resto del mondo stia cercando di arrivare dove l’Italia era già secoli fa. Pensaci bene: una nazione caratterizzata da piccole e medie imprese, con due industrie più importanti come quella vinicola e della moda che sono tipicamente business di nicchia. In un certo senso, la tecnologia moderna sta solo dando al resto del mondo la possibilità di fare propri valori che questo paese ha sempre celebrato. Quindi voi siete avanti, non indietro.”
AJ: Suona piuttosto ottimistico, ma grazie. Ora l’ultima domanda: come spiegherebbe la “Coda Lunga” a chi non ne sa nulla di internet?
CA: “La “Coda Lunga” è la scoperta della vita oltre i “campioni d’incassi”, oltre il mercato di massa. La “Coda Lunga” è ciò che accade quando il mercato di massa si frammenta in milioni di piccole nicchie. Forti di questa nuova ed infinita possibilità di scelta, noi possiamo in realtà scoprire noi stessi, scoprire chi siamo, cosa ci piace e cosa vogliamo veramente, invece di esser costretti a navigare attraverso ciò che ci viene offerto nel mercato tradizionale, caratterizzato da scelte limitate. Ora possiamo scegliere qualsiasi cosa e ciò che scopriamo sono la diversità e la ricchezza implicite nella nostra cultura.
AJ: Si può quindi dire che la “Coda Lunga” significa una maggiore libertà per il consumatore?
CA: “Certamente. Per noi significa maggior libertà di fare ciò che vogliamo e scoprire chi siamo veramente.”
Foto: 4everyoung
grazie alessio, bella intervista. come dice mio figlio, ti dò i complimenti.
max
grazie alessio, bella intervista. come dice mio figlio, ti dò i complimenti.
max