Tempo fa ho scritto questa cosa breve e l’ho pubblicata su Facebook. Come ogni altra cosa che inghiotte il social di Zuck, era andata persa. La rimetto qui, con una precisazione: a differenza di altre cose che avevo pubblicato in precedenza, questa è in parte opera di fantasia. L’ho scritta seduto su una panchina davanti alla sede di Stand by Me, in una pausa durante la lavorazione di “E se domani”.
L’ho scritta assemblando cose diverse viste in momenti diversi, ma che sentivo avrebbero dovuto stare insieme per raccontare una storia, spiegare un principio. E dire qualcosa di me, col giusto garbo.
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Siedo. Sono arrivato in anticipo. Una panchina libera era una tentazione troppo forte. Qualche minuto per me. Ancora qualche istante.
La gente passa. Qualcuno va di fretta. Qualcun altro perde tempo, esita, guarda le vetrine. Sfila il telefono di tasca e lo consulta distrattamente. Forse aspetta. Forse.
C’è posto accanto a me. Un anziano signore si siede. Nel farlo, fatica come se si stesse alzando. Trova la posizione. Si aggiusta. Sospira. E’ ben vestito. Di tutto punto. Avrà almeno novant’anni. E con la sfrontatezza di chi ha un’età in cui tutto è permesso, dopo qualche istante si gira a guardarmi. Mi fissa. Sorride.
“Il fumo fa male, sa?”, mi dice. Potrei ignorarlo, girarmi dall’altra parte. Non lo faccio. “Ha ragione”, rispondo, “ma a volte è necessario”. Ride. In modo strano in verità. Una via di mezzo tra un borbottio e un’esclamazione. Disapprova.
Si guarda un po’ intorno e penso che la nostra conversazione sia finita. Ricomincio a studiare i passanti, i loro gesti. Una donna attira la mia attenzione. Parla ad alta voce, quasi grida, mentre una lacrima scende lungo il suo viso. “Ma che uomo sei?” chiede a chi, da qualche parte, l’ascolta al telefono. Accelera e la vedo scomparire lungo via Cola di Rienzo, portandosi via il suo dramma e la sua vita.
“E’ sempre così”, dice il vecchio accanto a me. Reagisco come risvegliandomi da un sogno: “Prego?”. “Corrono con quegli affari nelle orecchie parlano da soli, passano e se ne vanno, ridono e piangono. Non sa quanti ne vedo”.
Non posso resistere alla tentazione: “E che idea si è fatto?”, chiedo. Si alza. lentamente. Uno sforzo enorme. Un movimento lento, a sfidare gli anni e la gravità. Vorrei aiutarlo ma sento che non devo. Che non vuole. “Tutte queste diavolerie, questi cellulari e le altre cose, e ‘sta gente è sempre sola. Sempre più sola. Buona giornata”.
“Arrivederci”, dico. Poi abbasso di nuovo lo sguardo verso il mio iphone.
Lo rimetto in tasca.