Stanco, nella sera inoltrata, mi abbandono sul sedile di un autobus. La fila per i taxi richiedeva una pazienza che ora mi manca, ammesso che l’abbia mai avuta. Meglio il mezzo pubblico, peraltro nuovo di zecca. Così ho tempo e modo di guardarmi intorno.
Barcellona di notte conferma l’impressione del giorno: è splendida. Una fermata alla volta, mi godo il suo continuo mutare forma con ancora in testa l’apparizione di San Mark Zuckerberg, patrono delle nostre paturnie digitali, al super evento Samsung.
Barcellona è strana. Memore del mio ultimo, frustrante passaggio durato appena 8 ore (tanto il budget della Rai ci aveva consentito), oggi sono uscito a scoprirla correndo. Anche troppo, visto che sono andato ben oltre i miei attuali, patetici limiti.
Alcune strade sembravano quelle di milano, altre, più spesso, di Torino. I vicoli poi, fanno pensare a Genova, alla sua città vecchia come doveva essere in tempi migliori, ma anche a Napoli, se a Napoli fosse stata risparmiata la sua interminabile agonia.
C’è tanto qui, di tante cose. Gli odori sono diversi. Quello sì. Che si mangia bene si capisce subito. Che i sapori sono forti te lo annuncia il naso. Non ti puoi sbagliare.
Il bus trotterella su una strada peraltro perfetta, accanto a marciapiedi puliti, facendo a gara con il tram, in un posto dove tutto, anche il porto, dà un’idea di pulizia, ordine, di rispetto. E perché no? Di orgoglio.
Qui se ne vede tanto, negli occhi delle persone come nei cartelli multilingue, a ricordare sempre che qui si parla catalano, che c’è una storia diversa da raccontare. Che la politica, la geografia e persino la storia non bastano a cambiare la testa delle persone. Tanto meno il loro cuore.
Eh.
Siedo e scrivo, e guardo, e scrivo. È febbraio e ho su solo la camicia. Scendo alla fermata davanti alla Casa Batlló di Gaudí. Mi fermo a guardarla per un minuto intero. Sorrido.
Domani è un altro giorno.