Recentemente sono stato coinvolto in un’interessante discussione riguardo al futuro dei siti aziendali. In pratica mi è stato chiesto se, data la crescente importanza dei social network, chi gestisce la comunicazione corporate debba o meno prendere in considerazione l’opportunità di essere presente solo su Facebook&co, rinunciando al classico sito corporate.
Di seguito l’opinione che ho espresso a riguardo. Mi farebbe piacere conoscere la vostra.
Credo che il punto non sia se un’azienda debba o meno avere un proprio sito, ma piuttosto come questo debba evolversi oggi, quale posto debba occupare in quello stesso universo on line del quale non può più pretendere (o far finta) di essere il centro.
Gli utenti entrano in rete per costruire la propria identità online e sviluppare un sistema di relazioni del quale vogliono essere il centro gravitazionale. Tanti piccoli nodi distribuiti nella rete che è sempre più difficile attrarre verso siti/portali pensati come uno spazio accogliente ma chiuso.
Diversamente dal passato, oggi la chiave dell’interazione azienda/utente è che la prima deve raggiungere il secondo ovunque esso si trovi: gli utenti sono su Youtube, Facebook, Myspace, e perciò ha senso che l’azienda (o meglio, le persone dentro l’azienda) li raggiungano articolando la loro presenza online ovunque sia necessario, anche e soprattutto imparando in fretta le “regole di convivenza” che governano la “parte abitata della rete”.
In questo processo di avvicinamento, che poi è un colossale cambiamento di paradigma della comunicazione e del marketing, il presidio che l’azienda mantiene online non viene meno ma – a mio avviso – si ridimensiona, semplifica, diventa a sua volta un centro di gravità fra tanti dal quale condurre la conversazione in atto su vari presidi. Non più un portale, insomma, ma il luogo da cui tenere le fila di una presenza online che tenderà a frammentarsi sempre di più con l’aumentare del numero di social network (o forse sarebbe meglio dire delle community) esistenti.
Su alcune cose sono pienamente d’accordo ma una cosa va ricordata: oggi molte delle attività degli utenti sono pull, cioè chiedono ai motori di ricerca ciò che vogliono ed i motori rispondono.
La tua soluzione ( e dimmi se sbaglio) vede una dinamica più push (che potrebbe anche piacermi). Con questa dinamica (dopo aver convinto l’azienda sceglierla) è necessario capillarizzare al massimo gli sforzi per andare a colpire tutte quelle aree del Web dove risiedono potenziali clienti o persone interessate a trarre informazioni per instaurare relazioni e conversazioni, ed è un compito veramente oneroso.
Ma è anche vero che l’abitudine a cercare cose sui social network si sta sviluppando abbastanza quindi ciò che dici potrebbe essere realizzabile.
Sia chiaro, oggi instaurare relazioni è di fondamentale importanza ma le aziende non amano rischiare, ed è per questo che ho paventato ciò di cui sopra.
Perfettamente d’accordo. Tuttavia questo significherebbe permettere ai “consumatori”, ai “dipendenti”, o ai semplici “curiosi” di produrre conoscenza, di sviluppare comunicazione a proposito di, a favore di, come critica a, un ‘azienda. Credo che parte delle aziende italiane siano pronte a questa sfida. Una sfida affascinante che riserba enormi opportunità. Tuttavia alcune aziende italiane temono invece questa sfida. La mentalità per la quale i contenuti vengono gestiti e prodotti centralmente è ancora diffusa. Non solo. Alcune aziende Italiane sviluppano modelli di gestione del Marketing che sono ancora “product oriented” anzichè “customer oriented”. Per queste aziende l’idea di prosumer è piuttosto distante.