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Martone nella bufera visto attraverso Storify

(Work in Progress) – Michel Martone, viceministro del ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, è sotto attacco in rete. A indignare gli utenti, la sua uscita pubblica poco felice: «Bisogna dare messaggi chiari ai nostri giovani. Se a 28 anni non sei ancora laureato sei uno sfigato». Quello che sta accadendo su Twitter visto attraverso Storify.  Hashtag #martone #sfigato

#Martone storified 

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Quando l’azienda incontra i social media (3 video, 11 casi studio e qualche riflessione)

Aziende B2B e social web. Un binomio che solo agli occhi meno attenti può ancora apparire improbabile e che invece, dopo lunghi anni di gestazione, nel 2011 si rivela possibile, efficace e anzi assai auspicabile. Oltre che spesso incentrato sul corporate blogging.

Di questo e di altro (compresi i “cinque stadi del dolore aziendale”) ho parlato lunedì scorso a Pordenone su invito di Unindustria (che ringrazio per l’ospitalità), durante l’ultimo di tre incontri formativi organizzati sotto il cappello Web3days e indirizzati alle aziende locali. Nella mia presentazione ho parlato della presenza e delle iniziative online di aziende “insospettabili” come Caterpillar, Shipserv, Black&Decker, Berto Salotti, Carbonelli o ancora Kinaxis e Indium. Ma ho anche aperto le danze citando tre casi storici (Kriptonite, Kensington e Dell) che come sospettavo sono stranoti agli esperti e del tutto ignoti alla maggior parte degli imprenditori italiani.

I video

La prima parte, della durata di circa 17 minuti, è dedicata ai “5 stadi del dolore aziendale” (vedere per credere) e a tre casi studio storici dove il primo, ovvero Kriptonite Locks (con rapida citazione di Kensington), serve a chiarire cosa è accaduto e accade quando un’azienda sceglie deliberatamente di ignorare la conversazione in corso in rete. Il secondo caso studio, invece, riguarda l’epopea di Dell, azienda passata dolorosamente attraverso tutti e cinque i sopracitati stadi ma che, alla fine (e dopo bel due anni), è uscita a testa alta dalla crisi. Il terzo, infine è l’arcinoto caso studio riguardante la Blendtech, i suoi incredibili frullatori e la “viralità” dei video in cui sminuzzano i prodotti più imprevedibili.

 

La seconda parte è dedicata in parte a casi studio B2B oriented in parte a iniziative B2C (Shipserv, Caterpillar, AZ Machine Tools, Ditre Italia, Torrefazione Carbonelli) dove si dà risalto a quanti e quali usi costruttivi si possano fare in aziende apparentemente molto poco social delle tecnologie nate nel cosiddetto web2.0. Di come ogni azienda debba e, a conti fatti, possa farle proprie e re-interpretarle per raggiungere al meglio i propri scopi.

 

 

Infine, la terza parte, di ben 22 minuti, vede terminare la carrellata di aziende cadute nella rete (si citano Kinaxis, Berto Salotti, Black&Decker, Indium), e poi accenna rapidamente al possibile futuro della comunicazione aziendale, definendo un trend che poi è la risultante di vari e autorevoli pareri da me raccolti negli ultimi tre anni di interviste (nello specifico, qui si citano Steve Rubel, Josh Bernoff e Derrick De Kerchkove). Il tema è che i siti corporate spariranno e la comunicazione aziendale sarà sempre diffusa, appannaggio di più dipendenti “empowered” dalle nuove tecnologie abilitanti.

 

La chiave di tutto, non è copiare la rete o anche solo prenderne a prestito le tecnologie. Il problema non è mai tecnologico. Il tema è fare uso dei nuovi strumenti per comprendere a fondo le potenzialità che essi esprimono, fare proprie le nuove dinamiche di interazione, condivisione e co-creazione che consentono, imparare a padroneggiarne i meccanismi e quindi ri-contestualizzare il complesso know-how acquisito all’interno dell’azienda. Così facendo, si rinnovano i processi esistenti, se ne creano di nuovi, si trovano e applicano soluzioni inattese.

In due parole, si innova. E poi, fatalmente, si vince sul mercato.

Altro tema che è emerso dalle ricerche fatte per mettere insieme questa presentazione è che il corporate blog, con buona pace di molti e sbrigativi “Gufi” della rete, non è morto. Se devi vendere acqua zuccherata (per citare Steve Jobs) è probabile che tu faccia bene a concentrarti su Facebook e Twitter. Ma se devi porti come thought leader nel tuo settore, se devi stabilire e condurre una conversazione con i tuoi stakeholder che sia proficua per tutti, se devi far emergere personalità, professionalità e competenza di chi lavora per te, in modo che tali qualità posizionino verso l’alto la tua azienda, allora ciò di cui hai bisogno è proprio un blog (e di tutte le aziende citate, solo due ne sono sprovviste).

Insomma, fare Businness 2 Businness significa anche (e sempre di più) saper fare del buon Blogging 2 Business.

The Apple “Gravestore”

I’ll keep it plain and simple: I think that keeping the Steve Jobs tribute photo on the main page of the Apple online store for eleven days (so far) it’s a little odd, a bit disturbing and somehow creepy.

It’s a Pr mistake to keep this going for so many days, especially while customers are rushing the online store to buy every iPhone 4s available on planet earth.

And above all: I don’t think he would have let them do it.

Not at all.

 

Su Twitter c’è chi dice no a Vasco Rossi

UPDATE: mentre scrivevo questo post, rabbia e stupore hanno trovato sfogo anche su Facebook, dove una nota della portavoce Tania Sachs ha già 10mila commenti, mentre un’altra nota dell’avvocato di Rossi ne conta oltre duemila.

Rispetto a quest’ultima aggiungerei che, a prescindere dal contenuto, se su Facebook pubblicate la nota scritta di pugno da un avvocato che inizia il discorso con “Prendendo atto del contenuto diffamatorio delle ultime dichiarazioni rese sul sito di Nonciclopedia, si deve precisare quanto segue.“, beh, allora direi che ve la state proprio cercando.

E’ la dura legge del social web. Da una parte Vasco Rossi usa i suoi legali per spaventare gli amministratori del sito satirico Nonciclopedia (rei di ospitare una pagina che si prende gioco del rocker), e alla lunga li induce a chiudere i battenti; dall’altra la rabbia e lo stupore per l’accaduto di molte persone trova subito – a torto o a ragione – visibilità e risonanza in rete attraverso Twitter.

twitter_trends_vasco_rossiMentre scrivo l’hashtag #vascomerda è primo tra le “tendenze” di Twitter in Italia (foto – seguito da Nonciclopedia, e #noncivasco) mentre è terzo nelle “tendenze universali”, dove peraltro sono presenti anche nome e cognome del cantante e rimandano a molti degli stessi commenti poco lusinghieri.

Alcune considerazioni al volo:

1) Quello di Rossi (anzi di chi gli gestisce la comunicazione) non è il primo né sarà l’ultimo, evitabilissimo errore nella gestione delle PR online. Bastava fare una ricerca su Google per capire che l’uso eccessivo e prolungato di avvocati nella gestione delle relazioni online nuoce gravemente alla salute, eppure ci sono cascati con tutte le scarpe. Personalmente mi riesce difficile capire perché personaggi, istituzioni e aziende preferiscano continuare a farsi del male in questo modo (o comunque tendano ad affidarsi nella gestione delle Pr a chi consente che se ne facciano), ma tant’è. Quisque artifex eccetera. Accadrà ancora, almeno finché questa gente continuerà a reagire secondo logiche vecchie e lise a situazioni completamente nuove.

2) Secondo un costume “mooolto italiano”, mi sembra che da qualche tempo a questa parte si stia diffondendo dalle nostre parti la simpatica abitudine di usare Twitter come gogna mediatica, dove la gente accorre lietamente a bersagliare il colpevole di turno pur sapendo poco o nulla del perché gli altri ce l’abbiano con lui. Basta leggere i tweet raccolti sotto #vascomerda per accorgersi che molti parlano giusto per partecipare, per il gusto del “da-sein”, o meglio ancora per sfogare antiche antipatia mai sopite. Non sono l’avvocato di Vasco Rossi (che non amo e non stimo), ma se il linciaggio mediatico di una persona qualunque, di un VIP o di un brand deve essere il prezzo da pagare perché Twitter sia diventato mainstream anche qui da noi, beh, allora anche no.

3) Fenomeni come questo vanno studiati con attenzione sia perché sono rivelatori del mondo che ci aspetta se passa questo o il prossimo provvedimento “ammazzablog”, sia  perché alzano la palla a chi le leggi le fa e intende farle per tutelare se stesso, i propri interessi e quelli della propria casta. Che si riempie la bocca con parole come “regole”, “privacy” e “sicurezza” ignorandone il vero significato ma conoscendone bene la potenza se opportunamente sfruttate, se usate come leva per muovere a sostegno dei propri fini l’opinione pubblica che resta lontana dalla rete e che la teme.

Insomma, che Vasco Rossi abbia torto o meno, a me sembra che il recente successo dell’hashtag #vascomerda sollevi molti più problemi di quanti noi se ne voglia vedere e – possibilmente – affrontare.

Sbaglio?

UPDATE 2: tra le molte critiche vuote e la marea di insulti che hanno ricoperto Rossi in queste ore, ogni tanto emerge anche qualcosa di leggero, creativo e divertente che merita di essere citato. Come ad esempio questo video:

True or not, The “Mark Davidson Sindrome” Reminds Us a Big Lesson on Social Media + Ghost Writing

The story so far

Ghost writing can kill you. Or at least, it can kill your reputation. Ask Mark Davidson, Social Marketing & Communications Strategist at Shift+One Media, who (if all the story is true and not justa a stunt to get some media coverage) in the last few hours had his Twitter account and his credibility devastated by someone who claims to be “one of his three ghost writers”. The one he got fired after 4 years.

This guy logged into Davidson’s Twitter account at night while “drunk and hungry”, then published 8 updates to Davidson’s 55,642 followers.

Click to enlargeThe first one:

“Hi. I’m one of three people who have been ghostwriting @markdavidson‘s tweets for the last 4 years while he is out playing golf.”

Then the second one:

– “Well yesterday, @markdavidson fired 1 of his 3 ghostwriters of the last 4 years and forgot to change his Twitter password.”

Then he (or she) goes on saying that Davidson “is not that nice and is cheap”. But the most juicy tweet is this one:

– “So let me mow tell you the truth about @markdavidson. He can barely type social media much less know what it is“.

The mess ends with a sharable advice: “And change your freakin’ password!”.

Now, that was two days ago. Then something even worse happened when what probably was one of the two remaining ghost writer logged into Davidson’s account after the attack. At first, he published a strange tweet speaking like he didn’t read what was published before. And then:

Oh. I am so not dealing with this **** today. My only responsibility on this account is to respond to *all* @replies and @mentions. I quit.

Click to enlargeThen comes this one:

– WANTED: Social Media Account Ghost Writer. We’ve recently had an opening at http://twitter.com/#!/markdavidson. (Serious inquiries only.)

and then another one so far, which is my favorite one:

– Unfortunately due to unforeseen circumstances, the previously scheduled blog post, “How To Tweet Like a Boss” will not be posted today.

Yes. Good idea. Better not to.

The lesson to be learned

Now, If this is all this a joke, I just don’t get it. It could be a stunt to get some free coverage, or an experiment, but how is Davidson going to manage the aftermath? We’ll see.

In any case, what happened here points out that there’s an important lesson on how to deal professionally with social media to be learned: if you are a public speaker, a politician, a manager or whatever and you want to be on Twitter, it would be better if you manage your account by yourself.

On the other side, What to do if you want to be there but don’t have enough time to manage a real-time conversation? In that case you can hire one or more people to help you tweeting. There’s no shame in that: not if you are the one telling them what to write, if do you follow the conversation by yourself and do try to understand how this social network (or any other you want to be involved into) really works. And, above all, if you tell your readers the truth, that you are beeing helped, that there’s a stuff of smart people updating the account for you. Being honest with your followers is the most important thing. Tell them the truth and let them decide either to stay or go. Believe me,  you’ll be surprised. And you’ll earn trust.

If you do so, then who manually write down and the publishes you updates or monitor your followers, could be irrelevant. First and foremost if you

– follow the conversation;

– get involved;

– tweet anytime you can (and when you do, tell you follower it’s you like President Obama does;

– give answers;

And – please – choose carefully the people you are going to give your password to. Just as careful as if you were giving them your latchkeys.

It’s exactly the same thing.

Quando un tweet costa il posto di lavoro (a un manager Microsoft)

Il tweet che vedete qui sotto, preceduto da pochi altri più o meno dello stesso tenore, potrebbe essere costato il posto a Joe Marini, fino all’altro ieri “principal program manager for the Windows Phone web platform”.

joe marini wrong tweet

Non ci sono conferme ufficiali, ma se si mettono assieme il repentino abbandono del manager, i suoi tweet in cui rivelava anzitempo alcune informazioni riservate su un prototipo di Nokia Windows Phone e le social media and blogging policy di Microsoft, si fa presto a fare due più due.

In più ci sono le fonti di Geekwire:

But the back story, as we understand it from people inside the company, is that Marini resigned after learning that he would be let go for improper use of social media and disclosure of confidential information.

Se poi si leggono con attenzione gli incauti messaggi di Marini, l’impressione è che il manager stesse correttamente lavorando a creare hype su Twitter, ma sia purtroppo inciampato in un eccesso di sincerità. In particolare quando ha scritto che – in una scala da 1 a 10 – il nuovo prototipo di smartphone meritava un “8”.

Manco a dirlo, subito un utente gli ha chiesto perché non un “9 o un 10”, al che Marini ha risposto come vedete nell’immagine qui sopra. Non è dunque impossibile che il suo (fin troppo corretto) approccio alla comunicazione sui social abbia indispettito qualcuno nelle sfere alte, che di conseguenze potrebbe averne “chiesto la testa”.

Ovviamente le mie sono solo speculazioni: resta tuttavia quello che sembrano confermare i fatti e le testimonianze, e cioè che  ancora oggi, pur in presenza di puntuali e circostanziate social media policy e dopo molte esperienze simili, un tweet può costare il proprio posto di lavoro.

Anche a un manager.

via

Il (buon) Customer Care via Twitter secondo Slideshare

Da un paio di giorni – e più precisamente da quando mi sono loggato con Facebook – il mio account Slideshare ha dato di matto è ha iniziato ad aggiungere una lunga serie di utenti alla lista di coloro che seguo sulla piattaforma. Il tutto è avvenuto senza che io muovessi un dito e, peraltro, facendomi fare anche una figura da pirla dal momento che vanto un account praticamente deserto.

Qualcuno mi ha persino aggiunto a sua volta, sebbene sia impossibile sapere chi lo abbia fatto perché mosso a tenerezza e chi invece sia stato colpito dalla mia stessa sindrome. Resta tuttavia il fatto che ho trovato l’accaduto abbastanza scocciante.

Da buon blogger e vecchio frequentatore di social cosi ho quindi reagito nell’unico modo possibile: lamentandomi su Twitter:

tweet per slideshare

A dire il vero, l’ho fatto più per capire se il problema fosse solo mio o anche di qualcun altro (Livia ha risposto, ad esempio), che non aspettandomi feedback dai responsabili del social americano. Anzi, abituato alla tipica modalità di interazione attraverso la rete delle aziende nostrane, non mi aspettavo in verità alcuna risposta.

Mi sbagliavo.

Dopo sole 13 ore (e si deve contare il fuso orario) da Slideshare mi hanno risposto sempre via Twitter per assicurarmi che il problema era loro, per dire che era stato risolto e, cosa ancora più incredibile, per scusarsi:

tweet da slideshare

E badate bene: tutto questo senza che il mio tweet abbia sollevato una rivoluzione e scatenato orde di utenti in una protesta corale contro l’azienda. Mi è stato risposto solo perché avevo fatto una domanda e – da utente – meritavo una risposta. Meglio, una soluzione.

Ora, io non so dire se a Slideshare siano sempre così efficienti. Quello che so, tuttavia, è che quando si parla di interagire in tempo reale con gli utenti/clienti attraverso i social media, si parla anche – e forse soprattutto – di questo.

Chi di dovere farebbe bene a prendere appunti.

—-

English recap for slideshare online PR:

Guys, you did a good job! I had a problem, Tweeted it and you answered whitin 13 hours via Twitter showing care and respect for your customers. Just one more best practice I felt the need to share with others here in Italy. Thanks.

Employee 2.0, video-interview with Josh Bernoff

At the beginning of February the Social Media Week took place in Rome. As partner at Info, I had the chance to organize and moderate a panel entitled “Employee 2.0 – Dalle relazioni istituzionali alle relazioni distribuite” and dealing mainly with two topics: the new relationship between empowered employees and empowered users; the opportunities and challenges this relationship rises for external and internal relations management. It’s interesting to note that – notwithstanding the not-so-popular subject – the conference rapidly sold out and that the room (which was quite big) was full.

To open the panel, we showed a short interview I pre-recorded via Skype with Josh Bernoff – senior vice president, idea development at Forrester Research, co-author of “Groundswell” and “Empowered” – who helped us to define the context of our discussion.

Here’s an excerpt of what he said:

With the power that consumers and customers have now using social media, the pressure on corporations is greater than ever before and the only way to move at the speed of your customers is to actually empower your own staff to reach out to them. […] These people are what we call HEROs. HERO is an acronym meaning Highly Empowered and Resourceful Operative: it just simply refers to an individual within a company who has an idea about how to serve customers using technology, an idea that the company want to support

And here’s the video:

The panelists where three well-known academics and two experienced managers:

  • Giovanni Boccia Artieri – Coordinatore del corso di Laurea in Scienze della Comunicazione, Università Carlo Bo
  • Stefano Epifani – Docente di Tecnologie per la Comunicazione d’Impresa, Università La Sapienza
  • Matteo Menin – Director @ Between S.p.A, responsabile delle Attività di Consulenza Strategica legate all’area Consumer e Web
  • Luca Sartoni – Team Leader, Social Media and Internet Marketing, @ 123People.com
  • Marco Stancati – Consulente aziendale e docente di Media Planning, Università La Sapienza

Together, we tried analyze and comment the state of the art of corporate communication in Italy, spending a great part of the conversation in defining the true difficulties italian managers and employees are facing while dealing with the online revolution. Then we tried as well to envision what’s next.

Let the “empowered” employees save your business

When Josh Bernoff wrote “Groundswell” together with Charlene Li, he brought to light a “spontaneous movement of people using online tools to connect, take charge of their experience, and get what they need – information, support, ideas, products, and bargaining power – from each other”.

Those people are the new “Empowered” users the company have now to deal with. But how? Where the traditional means of corporate pr are due to fail, there the answer is letting the employees embracing the social technologies and use them to reach out and solve customers’ problems.

The time has come, once and for all, to “transform your company through the employees called HEROes (highly empowered and resourceful operatives)”. A new, giant leap ahead well described by Bernoff and his co-author Ted Schadler in a new book entitled “Empowered“, where they give account of 25 case studies an dozens of examples.

I met Josh and Ted during the O’Reilly Web2.0 expo in New York and asked them a couple of questions. You can listen to their answers in the following two podcasts.

[display_podcast]

Social Media in the UK – 2010

Premessa
Il video realizzato da Simply Zesty, Pr e social media firm britannica,  è una “marchetta intelligente” con cui l’azienda presenta dati attendibili e interessanti senza perdere l’occasione di pubblicizzare se stessa e i propri servizi. Fossero così tutti gli “spot”, saremmo tutti un po’ più informati e consapevoli.

I dati
Nel filmato vengono forniti rapidamente alcuni dati sullo stato di Internet e dei social media in Gran Bretagna. Dati che dovrebbero far riflettere non poco noi poveri italiani e chi ci governa su cosa vogliano dire veramente parole come “Internet”, “banda larga” e “innovazione” quando sono pronunciate assieme, nella stessa frase. Vediamone alcuni insieme, come assaggio:

– L’85% della popolazione britannica è online (in totale si contano circa 61 milioni di sudditi di sua maestà)

– Della popolazione online, il 25% ha un blog mentre il 60% ne legge regolarmente

– Il 78% degli utenti internet britannici naviga in rete alla ricerca di informazioni su beni e servizi a acquistare. Di questi:

  • – il 33% ascolta i “suggerimenti” dei banner;
  • – il 70 per cento dice di aver fiducia nelle “online recommendations” ricevute da altri utenti che non conosce;
  • – il 90% cento dice di aver fiducia nelle “online recommendations” ricevute online da altri utenti che non conosce.

Il resto lo trovate nel video.

E se dopo averlo visto resta anche a voi l’amaro in bocca, fate uno sforzo e raccontate qui sotto perché.

Via