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Quando il cooperante internazionale diventa citizen journalist

A fine maggio Firenze ha ospitato l’evento Terra Futura e, al suo interno, l’edizione 2012 di Words World Web. Durante la tre giorni c’è stato posto anche per un panel che ho pensato e coordinato per aprire un confronto su come cambia l’informazione dalle zone calde del mondo, sul ruolo dei nuovi protagonisti e sulle sfide per i media tradizionali.

“Impegnati sul campo, migliaia di progettisti, consulenti,operatori umanitari e ambientali che lavorano nei settori dell’assistenza, della sanità, della prevenzione dei disastri naturali, dell’educazione e della formazione, del commercio e dell’artigianato si trovano in prima linea ovunque nel mondo ci sia bisogno del loro aiuto.
Grazie alla Rete e alle tecnologie abilitanti che essa mette a disposizione, molti di loro diventano anche voci indipendenti e (spesso le uniche) fonti di informazione diretta e aggiornata dalle zone di crisi, sia come singoli citizen journalism che come “reporter” per i siti delle ONG cui fanno capo, le quali a loro volta iniziano a configurarsi come piccoli media verticali”.

Il tema era provare a definire l’entità del cambiamento in atto. Gli ospiti, che ringrazio nuovamente, sono stati:

– Paola Amicucci, responsabile Ufficio Stampa Intersos

– Gianfranco Belgrano, giornalista Agenzia di stampa Misna

– Stefano Epifani, giornalista e docente presso Università La Sapienza Roma

– Cristiano Lucchi, giornalista professionista in forze all’ufficio stampa della Giunta Regionale Toscana

di seguito un video riassuntivo relativo ai temi del panel,

E un’intervista al sottoscritto.

Spero di riuscire a trovare anche l’integrale del panel.

Social TV, lo stato dell’arte in tre mosse

Nella settimana appena trascorsa sono tornato a Londra dove, grazie a Wired, ho potuto seguire il Social Media World Forum Europe 2012. Un evento di valore, ricco di temi, info e spunti articolati in ben sei track di panel e keynote distribuiti su due giorni.

Dovendo scegliere, mi sono dedicato principalmente al tema – veramente interessante e “caldo” – della Social TV. I risultati li trovate di seguito:

Secondo schermo, uno su due naviga in Rete mentre guarda la tv

“In Europa il 50 per cento degli utenti naviga in rete mentre guarda la TV”. Per quanto grande, full hd e tecnologica, magari anche 3D e collegata a Internet, la televisione come la conosciamo oggi non sembra bastare più allo spettatore connesso in rete e attivo sui social network: nell’era della condivisione e del commento a tutti i costi, la nuova moneta corrente, il bene prezioso che gli operatori di settore si devono contendere, è il coinvolgimento dello spettatore. David Nahmani, direttore della divisione Business Development e Partnerships per Orange/France Telecom è tra gli esperti chiamati al Social Media World Forum per raccontare i numeri e le tendenze del fenomeno del secondo schermo.

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Social tv, a caccia di un equilibrio tra tecnologia e contenuti

Lo diciamo da qualche tempo: la Social Tv è fra noi e basta dare un’occhiata ai Twitter trend di ogni settimana per capire quanto ci piaccia chiacchierà delle cose che vediamo sul piccolo schermo. Insomma, l’utente finale, stravaccato sul suo bel divano, si gode una televisione aumentata e ricca di servizi mentre naviga, commenta, chatta e condivide usando il secondo schermo del suo smartphone o tablet. Se non addirittura entrambi. Per chi invece la Tv la produce, non deve essere un momento facile: tanta fatica per creare un palinsesto degno di questo nome, salvo poi scoprire che gli spettatori – un tempo squisitamente passivi di fronte al piccolo schermo – osano addirittura distrarsi.

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Social Tv, gli spettatori al potere

Non ci sono più i telespettatori di una volta. Attenti, disciplinati, fedeli al palinsesto consumavano avidamente show, film, telegiornali e soprattutto pubblicità, anima del commercio e prima fonte di sostegno dei broadcaster. Purtroppo per quest’ultimi, parliamo di altri tempi. Oggi la parola d’ordine è un’altra: “Social Tv è la nuova etichetta sotto la quale oggi raggruppiamo una lunga serie di temi di cui stiamo discutendo ormai da un decennio” spiega William Cooper, fondatore e amministratore delegato di Informitv incontrato ai margini del Social Media World Forum di Londra. “Prima, quando parlavamo di televisione interattiva, per interazione intendevamo quella che avrebbe dovuto esserci tra noi e lo strumento, fruito singolarmente o la massimo nel contesto familiare. Oggi – continua Cooper – le stesse parole indicano invece il modo in cui gli utenti si relazionano tra loro e, appunto, interagiscono l’uno con l’altro mentre guardano la tv”.

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Enjoy

Il Sole24ore apre alla condivisione online dei contenuti

IlSole24ore.com diventa oggi un po’ più “social”. Proprio mentre faccio click sul tasto publish di questo post, sul sito del quotidiano fanno la loro comparsa nuovi strumenti per la condivisione dei contenuti (nome in codice “condividi 24”), organizzati come potete vedere in anteprima nell’immagine accanto.

Nello specifico si tratta di un menù contestuale (vedi immagine) che d’ora in poi apparirà  ogni qualvolta si seleziona una porzione di testo in un articolo e che consente di copiarlo, embeddarlo, inviarlo per mail e ancora rilanciarlo direttamente su Facebook o Twitter. Il servizio viene implementato con un duplice scopo: da un lato per facilitare la condivisione dei contenuti da parte degli utenti e, dall’altro, per “disciplinarla” e sottolinearne il valore. Nella policy del nuovo servizio (vedi immagine), raggiungibile cliccando sulla voce “Info e feedback”, si legge infatti:

Grazie per l’attenzione ai nostri contenuti: ci fa piacere che il nostro lavoro sia apprezzato e diffuso. Con questo servizio mettiamo a disposizione alcuni strumenti per facilitarne la condivisione.

Gli strumenti proposti consentono di condividere una parte rilevante dei contenuti più brevi ed ampie porzioni dei contenuti più lunghi, oltre la quantità che potrebbe essere ritenuta ammissibile dalle norme vigenti in materia di diritto di corta citazione. Per questa ragione, e per eliminare qualsiasi ambiguità, abbiamo ritenuto opportuno associarvi la licenza Creative Commons CC BY-NC-SA.

Per redarre questi contenuti sosteniamo costi importanti; i link nel testo che rimandano al nostro sito e qualche pubblicità che potremmo inserirvi ci aiutano a sostenerli.

Insomma: compiendo un passo importante nella sua non sempre illuminata marcia di avvicinamento alla rete, la versione online del giornale di Confindustria apre agli utenti mettendoli in condizioni di citare “legalmente” fino al 20 per cento di ciascun articolo (fino a 5 righe  nel caso di articoli brevi) e – cosa che mi sembra persino più degna di nota – lo fa finalmente adottando una policy chiara e comprensibile, senza nascondersi dietro il solito, impenetrabile gergo legalese. Non è ancora l’apertura che molti di noi auspicano un po’ da tutti i giornali italiani, ma di certo è qualcosa di più e di meglio che trincerarsi dietro ad un (ormai inutile) “riproduzione vietata” in calce ad ogni pezzo.

Nella stessa schermata che contiene la policy, è presente in basso a sinistra un link alla pagina dei feedback, dove chiunque può lasciare commenti e suggerimenti per migliorare il servizio. Per una volta questi commenti non finiranno seppelliti nella casella di posta elettronica di qualche editor, ma resteranno visibili a tutti stratificandosi nel tempo come fossero commenti in un forum o nel post di un blog. Non resta che vedere se gli utenti avranno voglia di dire la loro, di proporre nuovi modelli di  interazione o funzionalità e se, in presenza di consigli e suggerimenti davvero saggi, chi prende le decisioni vorrà e saprà davvero metterli in pratica.

A questo punto viene da chiedersi perché al Sole si siano risolti a fare questo passo, ma anche che tecnologia abbiano usato e quanto complicato sia stato (tecnicamente e politicamente) portare a casa il risultato. Ho girato queste domande a Stefano Quintarelli, Direttore dell’Area Digital del Gruppo 24 ORE: “In genere ci è riconosciuto un altro livello qualitativo – risponde “Quinta” – ma abbiamo, specie tra i più giovani, un’immagine paludata e di contenuti “difficili”. In questo modo cerchiamo di cambiare tale percezione e, contemporaneamente, di facilitare e stimolare il coinvolgimento di persone che tradizionalmente non sono nostri lettori”. Per quanto riguarda la tecnologia usata, è stato fatto uno studio iniziale “per capire su adottare Javascript o Flash, poi abbiamo optato per flash perché altrimenti alcune cose non sarebbero state realizzabili”.

Rispetto alla complessità affrontata nell’introdurre i nuovi strumenti nel giornale di Confindustria, Quintarelli minimizza: “E’ stato facile sia dal punto di vista tecnico che organizzativo. Per quanto riguarda invece l’accettazione della novità dentro al giornale, è bastato spiegare bene quali siano le dinamiche dei social media a chi non li conosceva e l’adesione al progetto è stata convinta”.

 

 

Change they all believed in: le presidenziali USA ‘08 raccontate dall’ex blogger di Obama Sam Graham-Felsen/2

Come promesso, ecco di seguito la seconda parte dell’intervista integrale con Sam Graham-Felsen, ex Chief Blogger per Barack Obama durante l’ormai leggendaria campagna elettorale per le presidenziali statunitensi del 2008. In queste righe Sam racconta come sia radicalmente cambiato il modo di fare attivismo politico, condivide la sua visione sul futuro delle campagne elettorali “empowered” dalle nuove tecnologie di comunicazione e si lascia involontariamente sfuggire un commento impietoso sul digital divide nel nostro Paese. (Una versione ridotta dell’intervista è stata pubblicata su Nova24 – IlSole24Ore di Giovedì 14 aprile, pagina 21)

– La prima parte è disponibile qui

Il futuro della comunicazione politica

Interessante anche la visione di Graham-Felsen rispetto a quali tecnologie verranno adottate in futuro nelle campagne elettorali: «La prima volta che ho fatto attivismo politico, ho dovuto guidare per due ore e andare in un altro Stato, – racconta –  dove mi hanno dato un foglio, una penna e un telefono per chiamare potenziali elettori. Nel 2008 potevo lavorare comodamente nella mia stanza da letto, dov’ero vincolato da una connessione di rete, mentre nel 2012 credo che il più vasto cambiamento verrà dall’affermazione del mobile, e consentirà alle persone di fare attivismo ovunque esse si trovino». Un domani ormai prossimo potremo ad esempio disporre di applicazioni per smartphone che, sfruttando servizi di geolocalizzazione come Foursquare, «sapranno avvisarci che a cento metri dal punto in cui ci troviamo abita un elettore indeciso e interessato a saperne di più sul nostro candidato, dandoci quindi la possibilità di scegliere se andare a bussare alla sua porta e raccogliere dati preziosi». Dati che, manco a dirlo, inseriremo in un database in tempo reale tramite una connessione mobile.

Insomma, quello che ci aspetta è un futuro nel quale Internet e le tecnologie di comunicazione che essa porta in dote saranno non solo disponibili ovunque, ma diverranno anche sempre più centrali al confronto politico.  Il tutto però senza che queste – sottolinea Graham-Felsen – possano mai sostituirsi del tutto al confronto faccia a faccia tra le persone, al calore di una stretta di mano. «Domani come ieri – spiega -non saranno le tecnologie, ma le persone che le usano per cambiare lo status quo a fare come ancora una volta la differenza». E a chi obietta preoccupato che in rete oggi trovano spazio e visibilità soprattutto gli estremisti, siano essi di destra o di sinistra, l’ex chief blogger di Obama risponde sbilanciandosi in una previsione ottimistica: «Nel lungo termine – afferma – le persone impareranno ad usare meglio la rete, a sfruttarne gli strumenti per informarsi, per capire cosa accade loro intorno e per formarsi un’opinione più equilibrata che consenta loro di partecipare alla conversazione politica in modo sempre più civile  e costruttivo». Impossibile non augurarsi che abbia ragione.

In chiusura, c’è anche tempo per arrossire con un breve aneddoto: parlando con alcune persone venute a conoscerlo al Centro Studi Americani in occasione della sua recente visita a Roma, a un certo punto Sam rimane interdetto quando scopre che in Italia il 50% della popolazione non è online. Poi si riprende e, citando quello che è  «solito dire nei paesi in via sviluppo come il Perù», spiega come chi già ha accesso alla rete debba «battersi non solo perché quell’accesso sia esteso a tutti e diventi un diritto, ma anche affinché sia percepito dalle persone come tale». Un paragone di certo involontario, quasi una gaffe priva di polemica, che tuttavia dà drammaticamente la misura di quanto arretrato debba sembrare il nostro Paese a chi viene da fuori.

Anche se prima è passato dal Perù.

Change they all believed in: le presidenziali USA ’08 raccontate dall’ex blogger di Obama Sam Graham-Felsen/1

Di seguito la prima parte dell’intervista integrale con Sam Graham-Felsen, ex Chief Blogger per Barack Obama durante l’ormai leggendaria campagna elettorale per le presidenziali statunitensi del 2008. Qui Sam rievoca gli aspetti fondamentali di quel successo e gli effetti che esso ha avuto sul contesto politico americano, mentre nella seconda parte – di prossima pubblicazione – condivide la sua visione sul futuro dell’attivismo politico “empowered” dalle nuove tecnologie di comunicazione. Una versione ridotta dell’intervista è stata pubblicata su Nova24 – IlSole24Ore di Giovedì 14 aprile (pagina 21)

sam_graham-felsen“Tutto comincia da noi”. A venti mesi dalle elezioni presidenziali del 2012, il presidente degli Stati Uniti Barack Obamaancia online la campagna per ottenere il suo secondo mandato inaugurando un “claim” di sicuro effetto, rinnovando il sito web che porta il suo nome, pubblicando un video su Youtube e, soprattutto, aggiornando il proprio status su Facebook e Twitter.

L’intento è evidentemente quello di ripetere il successo del 2008. Dunque quale momento migliore per rievocare quell’impresa e tentare di comprenderne i segreti? Un compito non facile, per il quale abbiamo chiesto aiuto a Sam Graham-Felsen, giovane blogger e giornalista americano già “Chief Blogger” di Obama durante la sua fortunata campagna presidenziale.

Iniziamo con il chiedergli come hanno reagito gli altri politici americani, dopo le elezioni 2008, di fronte alla prova provata che Internet funziona per raccogliere soldi e voti: «La reazione – risponde – è stata sbarcare in massa in rete», luogo che fino a quel momento essi avevano sistematicamente ignorato e dove ora si lanciavano «a caccia di fondi e di consenso». Peccato però che «ancora oggi la maggior parte di loro fallisca nell’usare gli strumenti di comunicazione online perché applica strategie vecchie in un contesto nuovo, perché non conversa ma adotta una comunicazione “dall’alto” e unidirezionale, o ancora perché pubblica comunicati stampa su Facebook o spot tv su Youtube invece di creare contenuti pensati per il web, di cercare insomma un rapporto genuino con i propri elettori».

Una strategia, questa, né più né meno che opposta a quella tenuta dal New Media Team messo in piedi da Obama, uno staff di ben 100 persone che, racconta Sam Graham-Felsen, «non usavano gli strumenti di comunicazione presenti in rete per gridare ai quattro venti “guardate quanto è grande Obama”, ma al contrario per dire alla gente “guardate quanto siete grandi voi e che cosa potete fare”, quindi per fornire loro gli strumenti tecnologici necessari per conversare, organizzarsi e partecipare concretamente alla vita politica del Paese». Il tutto nell’ottica di instaurare una conversazione bidirezionale, genuina e trasparente secondo un approccio che, persino vista da qui, appare assai distante da quella dei Repubblicani: «Basta guardare quello che ha fatto e fa Sarah Palin – conferma il giovane blogger – che usa la rete solo per accrescere la propria forza e che non accetta il confronto, per esempio cancellando sistematicamente dalla sua pagina di Facebook commenti negativi e domande scomode».

Sam ha le idee chiare ed è uno “storyteller” nato. Facile quindi comprendere perché sia stato scelto per raccontare il complesso scenario delle presidenziali del 2008. Meno facile è invece accettare – specie per chi come noi è abituato alla “normalizzazione” costante e implacabile dell’informazione – che egli abbia avuto carta bianca per scrivere ciò che voleva, che accanto a lui non ci fossero «i soliti dieci responsabili delle pr in fila per approvare ogni suo post» o, ancora, che sia stato scelto perché giornalista senza esperienza di pubbliche relazioni, visto che simili competenze avrebbero potuto «intaccare la genuinità di ciò che doveva scrivere».

Una scelta che dà la misura del ruolo e dell’importanza che i contenuti hanno avuto nella campagna presidenziale di Obama: «Si è parlato a lungo del fatto che, grazie alla rete, abbiamo raccolto 500 dei 700 milioni di dollari necessari a sostenere la campagna elettorale, o che gestivamo una mailing list da milioni di nomi. Nessuno sembra però aver realmente capito – sottolinea Sam – che sono solo numeri, che non avremmo mai avuto tanta partecipazione se non fossimo stati in grado di raccontare storie capaci di ispirare le persone, di far sì che si impegnassero e restassero impegnate». E che ci siano riusciti lo conferma un dato su tutti: dei 3,2 milioni di donatori online intervenuti a sostegno della campagna presidenziale di Obama, la media ha dato più di due volte volte. Chiaramente un modo per sentirsi parte del processo e ribadire in più occasioni il proprio sostegno.

Di recente, alcuni osservatori hanno espresso perplessità rispetto al ruolo della rete nel successo elettorale di Obama, ricordando la possente campagna di quello che potremmo definire marketing tradizionale (spot tv, pubblicità sui principali giornali on- e offline ecc.) lanciata a sostegno del futuro presidente e pagata fior di dollari. Rispetto a questo tema Graham-Felsen taglia corto: «E’ vero che molti dei soldi della campagna sono andati in pubblicità, tuttavia è sciocco dire – come alcuni fanno, – che Obama non abbia beneficiato della rete quanto dei media tradizionali, e questo semplicemente perché non saremmo mai arrivati in televisione senza l’enorme sostegno economico avuto attraverso la rete».

Altri detrattori hanno invece sostenuto che il successo costruito da Obama e dal suo staff con le attività online sia stato di corto respiro, leggendo la sonora sconfitta incassata dai democratici alle elezioni di medio termine anche come la conferma di quanto effimero sia il consenso conquistato in Internet. Graham-Felsen non è d’accordo: «In questa nuova fase campagna elettorale il presidente non ha replicato il successo del 2008 perché semplicemente ha cambiato approccio alla comunicazione online. Dopo l’elezione si è giustamente circondato di consiglieri dalle strategie più tradizionali, che comprensibilmente vedono la mobilitazione della base attraverso Internet con una certa apprensione». Come a dire: Obama ha sbagliato, ma forse non poteva farne a meno.

Mobilitare la base richiede infatti che si ceda parte del controllo, e questo può essere pericoloso per chi detiene il potere. Dal canto loro, «gli utenti della rete si mostrano più inclini ad essere mobilitati in battaglie contro lo status quo che non a suo favore», chiaro quindi che Obama fatichi molto di più ora a raccogliere consensi attraverso la rete che non prima, «quando poteva far leva su otto anni di governo Bush».

Continua …

Second Pulitzer Prize for Propublica

Paul Steiger, chief editor of Propublica.org, writes on his site:

“ProPublica reporters Jesse Eisinger and Jake Bernstein have been awarded a Pulitzer Prize for National Reporting for their stories on how some Wall Street bankers, seeking to enrich themselves at the expense of their clients and sometimes even their own firms, at first delayed but then worsened the financial crisis. We at ProPublica are delighted by this award, and deeply honored.

This is ProPublica’s second Pulitzer Prize in as many years. Last year, ProPublica reporter Sheri Fink won a Pulitzer for Investigative Reporting for her article “The Deadly Choices at Memorial,” on euthanasia at a New Orleans hospital in the wake of Hurricane Katrina, published in partnership with The New York Times Magazine. This was the first Pulitzer Prize ever awarded to an online news organization. This year’s Prize is the first for a group of stories not published in print.”

Indeed a good job.

In 2010 Paul Steiger was in Italy to attend the International Journalism Festival of Perugia, and that’s where I had the chance to meet and interview him for a few minutes. During our short conversation I asked Mr Steiger about Propublica and its business model as well as about his view on journalism and its future.

Watch his answers – still very up-to-date – in the following video.

E’ morto il blog, viva il blog!

Puntuali come le feste comandate tornano in queste ore gli annunci sulla morte dei blog con relative discussioni e confronti tra favorevoli e contrari. Ne ha parlato Enrico, caustico e ficcante come sempre. Gli hanno fatto eco Andrea Toso, che ha rincarato di parecchio la dose, e Massimo, che invece appare meno netto nel suo giudizio e più preoccupato dal significato e delle conseguenze di una eventuale morte dei blog.

Finora ho letto solo una parte dei commenti, ma mi sembra che, almeno questa volta, il sentiment delle persone che abitualmente leggo sia un pizzico più possibilista. Niente levata di scudi insomma, come ne ho viste in passato, per sostenere la salute ferrea e il futuro roseo dei blog.

E questo potrebbe già essere un indizio del fatto che Enrico possa avere ragione. Se così fosse, non sarebbe la prima volta.

Per quel che mi riguarda, non mi interessa sostenere una tesi o l’altra. Mi interessa capire, approfondire, trarre conclusioni e quindi ridefinire (o forse dovrei dire aggiornare?) le mie posizioni. Per curiosità e per necessità professionale.

Intanto un elemento: quando ho sentito il bisogno di partecipare alla conversazione, non mi è passato neanche per la testa di scrivere su Facebook o su qualsiasi social network site. Questo contenuto ci arriverà comunque, e potrà avere o meno fortuna (nel senso di diffusione), ma ho sentito il bisogno di realizzarlo in un contesto aperto e tuttavia controllato da me (ovvero il mio blog, che pure aggiorno poco). Ed è forse degno di nota anche il fatto che lo stesso Andrea Toso abbia sentito il bisogno di scrivere un lungo (e bel) post sul suo blog, per dire appunto che i blog sono morti. Tutto ciò, vorrà pur dire qualcosa.

Altro tema è che, leggendo qua e là, avevo la sensazione che qualcosa mancasse all’appello. Poi ho capito: mancano i numeri. Numeri affidabili, statistiche, cifre a sostegno dell’una o dell’altra tesi.

Quindi una domanda: con tutto il rispetto per i pareri espressi e per chi li ha formulati, non un po’ troppo autoreferenziale parlare di morte del blog (o di pre-pensionamento, per citare Contz), basandosi sul numero di feed che si legge ancora oggi, di post che si pubblicano e di lettori che li consultano, di commenti che si ricevono? Basandosi, insomma, solo sulla propria esperienza diretta che, come tale, è necessariamente limitata?

In attesa di una risposta, metto sul piatto alcune riflessioni schematiche e “volanti” basate anch’esse sulla mia esperienza diretta, e quindi condizionate da tutti i limiti del caso:

1) Il blog è uno strumento eccezionale per la pubblicazione, la stratificazione, la diffusione e la conservazione di contenuti complessi, intorno ai quali è anche possibile (sebbene magari oggi possa apparire meno seducente) instaurare una proficua discussione. E’ il luogo perfetto per conservare la conoscenza, così come i social network site si prestano meravigliosamente a rilanciarla e diffonderla. Allo stato attuale, più che di riconoscere passivamente come inevitabile un avvicendamento tra le due realtà, mi sembra ci sia più che mai bisogno di impegnarsi un cincinino per una maggiore integrazione, di favorire e anzi difendere questa complementarietà per il bene di tutti.

2) Forse il blog ha perso il suo appeal da strumento irrinunciabile per chiunque approdi in rete, e probabilmente è vero che il “99% per cento del cazzeggio” si è spostato su Facebook, Twitter” e compagnia cantante. Se così è, (e tutto sommato credo che lo sia), dal mio punto di vista è solo un bene. La validità dello strumento in sé resta indiscussa, mentre finalmente appare chiaro a molti che gestirne uno seriamente non è un passeggiata di salute, richiede impegno e dedizione, e sopra ogni cosa, richiede uno scopo. Quale che sia, da perseguire con idee chiare e decisione, indipendentemente dal fatto che chi apre il blog sia un singolo cittadino, un libero professionista, un’istituzione o un’azienda. Se insomma l’assottigliamento della blogosfera in favore della “statusfera” è frutto di una darwiniana selezione della specie, ben venga davvero.

3) Forse la morte di cui stiamo parlando – e questa sì, reale e inevitabile – è quella della creatività di un’intera “generazione” di blogger che in questi dieci anni ha imperversato nella rete italiana, cui va riconosciuto il merito di aver diffuso la cultura digitale e la colpa di essersi guardata troppo l’ombelico. Ma che inevitabilmente oggi ha esaurito la vena o le ragioni per usare uno strumento che, come tale, ha ancora molto da dire nelle mani di nuovi autori, pronti a farne uso con scopi e ragioni uguali o diverse da chi li ha preceduti.

Forse quello che oggi sta davvero morendo è il “blogger” che era in molti di noi incalzato dal cambiamento, dalla crescita e dell’evoluzione personale che lo stesso “fare blogging” ha determinato almeno in parte.

Insomma, è morto il blog, viva il blog!

Self-Publishing, quando il bestseller è fai-da-te

L’Ebook Lab Italia, evento sull’editoria digitale rivolto ai professionisti del settore e organizzato da Antonio Tombolini con la sua SBF, è stato un successo. Non mi riferisco solo al fatto che fosseben organizzato, serrato e ricco nella presentazione di contenuti. Lo dico anche perché credo sinceramente di aver imparato qualcosa, di certo abbastanza da poterne scrivere un pezzo per Nova24.

Così accade che nel numero di oggi, a pag 23, mi trovi a raccontare di editoria digitale in compagnia di Antonio Dini e Luca Conti (che parlano rispettivamente di prezzi e di mercato) e, nel caso specifico, che racconti il fenomeno emergente del self-publishing riportando tre testimonianze: quelle di Piotr Kowalczyk, brillante auto-editore polacco, dello stesso Tombolini e di Marco Carrara, blogger esperto di editoria digitale.

Il pezzo è disponibile anche on line. Di seguito un assaggio:

Piotr Kowalczyk scrive racconti brevi. Già due anni fa ne aveva prodotti abbastanza da riempire quattro libri, eppure non riusciva a farsi pubblicare perché – racconta divertito – secondo gli editori oggi «nessuno vuole leggere racconti brevi. Il pubblico ama i romanzi». Un responso impietoso, di fronte al quale Piotr non si è perso d’animo: è diventato self-publisher – o per dirla all’italiana, editore di se stesso – e ha iniziato a sperimentare.

Continua a leggere su IlSole24Ore.

Ebook Lab Italia, a Rimini va in scena il futuro dei libri

Da domani a sabato 5 marzo Rimini diventa capitale dell’editoria digitale ospitando Ebook Lab Italia, “la mostra-convegno per tutti i professionisti dell’editoria digitale sul mercato italiano.”

Dai produttori hardware ai librai, dalla grande distribuzione agli editori, dagli sviluppatori di software dedicato agli autori e ai loro agenti, fino ai mestieri più tradizionali. Tutti chiamati, dalla rivoluzione digitale, a reinventare il proprio mestiere, e a cogliere nuove opportunità.

Ho pensato che valesse la pena andare a dare un’occhiata e sbirciare “Il futuro dei libri, i libri del futuro”, come recita il claim dell’evento. Nel caso, ci vediamo lì.

PS: già che ci sono approfitto per riproporre un video in tema che ho partecipato a realizzare intervistando gli ospiti della Venice Sessions IV, dedicata manco a dirlo al “futuro dei media nell’era digitale”.

Employee 2.0, video-interview with Josh Bernoff

At the beginning of February the Social Media Week took place in Rome. As partner at Info, I had the chance to organize and moderate a panel entitled “Employee 2.0 – Dalle relazioni istituzionali alle relazioni distribuite” and dealing mainly with two topics: the new relationship between empowered employees and empowered users; the opportunities and challenges this relationship rises for external and internal relations management. It’s interesting to note that – notwithstanding the not-so-popular subject – the conference rapidly sold out and that the room (which was quite big) was full.

To open the panel, we showed a short interview I pre-recorded via Skype with Josh Bernoff – senior vice president, idea development at Forrester Research, co-author of “Groundswell” and “Empowered” – who helped us to define the context of our discussion.

Here’s an excerpt of what he said:

With the power that consumers and customers have now using social media, the pressure on corporations is greater than ever before and the only way to move at the speed of your customers is to actually empower your own staff to reach out to them. […] These people are what we call HEROs. HERO is an acronym meaning Highly Empowered and Resourceful Operative: it just simply refers to an individual within a company who has an idea about how to serve customers using technology, an idea that the company want to support

And here’s the video:

The panelists where three well-known academics and two experienced managers:

  • Giovanni Boccia Artieri – Coordinatore del corso di Laurea in Scienze della Comunicazione, Università Carlo Bo
  • Stefano Epifani – Docente di Tecnologie per la Comunicazione d’Impresa, Università La Sapienza
  • Matteo Menin – Director @ Between S.p.A, responsabile delle Attività di Consulenza Strategica legate all’area Consumer e Web
  • Luca Sartoni – Team Leader, Social Media and Internet Marketing, @ 123People.com
  • Marco Stancati – Consulente aziendale e docente di Media Planning, Università La Sapienza

Together, we tried analyze and comment the state of the art of corporate communication in Italy, spending a great part of the conversation in defining the true difficulties italian managers and employees are facing while dealing with the online revolution. Then we tried as well to envision what’s next.