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Perché Silicon Valley vuol dire fiducia

Qualche giorno fa ho avuto il piacere di incontrare il venture capitalist Greg Horowitt, ospite a Roma di Working Capital Accelerator.  Una illuminante chiacchierata durata più di un’ora a proposito di startup, Silicon Valley, fiducia e talento. Il risultato è un pezzo uscito ieri a pagina 3 su Nova24, ora disponibile anche sul sito de IlSole24ore. Ecco sia l’incipit sia il link al pezzo vero e proprio.

Buona lettura.

 

Il vero startupper, quello destinato al successo, è «profondamente ottimista e, allo stesso tempo, pieno di dubbi e capace di porre mille domande. Non dà per scontato che i tuoi consigli siano giusti, anzi ti sfida e cerca il confronto su tutto. E il bello è che questo non gli impedisce di svegliarsi ogni giorno convinto di poter cambiare il mondo». A parlare è Greg Horowitt, venture capitalist e docente dell’Università di San Diego, nonché co-autore del libro dal titolo «The Rainforest – The secret to building the next Silicon Valley». Un esperto nella selezione del talento, secondo il quale i neoimprenditori degni di attenzione sono caratterizzati da «una fantasia incredibile, da grandi adattabilità, tenacia e determinazione. Dici loro di no e continuano a tornare, perché credono in ciò che fanno».

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“I dati personali sono il nuovo petrolio”

big_bangLa settimana scorsa ho partecipato alla Next Conference 2011 di Berlino, quinta edizione di un evento sempre più interessante e ricco di spunti, quest’anno dedicato al Data Love: come spiegano gli stessi organizzatori,

Data is the resource for the digital value creation and fuel for the economy. Today, data is what electricity has been for the industrial age. Business developers, marketing experts and agency managers are faced with the challenge to create new applications out of the ever-growing data stream with added value for the consumer. In our data-driven economy, the consumer is in the focus point of consideration. Because his behaviour determines who wins, what lasts and what will be sold. Data is the crucial driver to develop relevant products and services for the consumer.

Molti i filoni di approfondimento che hanno animato un evento organizzato con infallibile precisione teutonica. Per conto mio, prima ho intervistato per L’Espresso Peter Vesterbacka di Rovio, azienda creatrice di “Angrybirds”; poi ho scelto di seguire e approfondire il tema relativo al mare magnum di dati personali presenti online e di come da essi dipenda un’intera economia, oltre che lo sviluppo di servizi innovativi che possono letteralmente cambiare il nostro modo di vivere. Ne ho parlato con Andrew Keen (cui va attribuita la citazione nel titolo di questo post), Euro Beinat, Fabio Sergio e Johan Staël von Holstein.

Il risultato è un pezzo pubblicato oggi su Nova24 a pagina 5, intitolato “Il controllo è sotto controllo?” e parte dello speciale “Il Big Bang dei dati”, peraltro già disponile online.

Eccone l’incipit

«L’enorme massa di dati personali che ogni giorno gli utenti riversano in rete è il nuovo petrolio». A parlare è Andrew Keen, imprenditore e scrittore angloamericano noto in rete per le sue posizioni critiche nei confronti della Web2.0, intervenuto dal palco della Next Conference 2011 di Berlino. «Ogni azienda – ha affermato –, da Linkedin a Facebook, da Foursquare a Twitter, dipende da noi e dai dati che decidiamo di condividere».
Secondo Keen, è necessario che gli utenti della rete comprendano il valore dei loro dati e ne recuperino il controllo.

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USA 2012, Obama torna in Rete ma forse ha perso il “tocco magico”

In una breve intervista Micah L. Sifry, co-fondatore e direttore di TechPresident.com e del Personal Democracy Forum, propone una visione critica e disincantata della ormai storica campagna politica online messa in campo da Barack Obama nel 2008 e, con l’occasione, spiega anche perché a due anni di distanza sia diventato tanto difficile per il presidente USA ripetere quello straordinario successo (tratto da Nova24 – IlSole24Ore di Giovedì 14 aprile, pagina 21).

sifryA sorpresa, Barack Obama è ridisceso nell’arena della rete per lanciare la campagna elettorale del 2012. Nella memoria è ancora fresco il ricordo delle strabilianti ascesa e vittoria con cui ha conquistato la poltrona di presidente degli Stati Uniti d’America, eppure da allora molta acqua è passata sotto i ponti.

Dal successo politico del 2008 ci separa una sonora sconfitta incassata dai Democratici alle importanti elezioni di medio termine, ma anche un calo di popolarità del presidente USA presso i suoi sostenitori. Un declino facilmente spiegabile secondo Micah L. Sifry, co-fondatore e direttore di TechPresident.com e del Personal Democracy Forum, che ha condiviso con noi la sua visione fortemente critica.

In primo luogo, Sifry si dice d’accordo con chi lo accusa di aver interrotto la conversazione in rete con i suoi sostenitori subito dopo aver vinto le elezioni, di fatto preferendo una strategia di comunicazione più tradizionale e meno “pericolosa”. Poi rincara la dose quando afferma che «la campagna online del 2008 è stata dipinta migliore di quanto non fosse realmente, perché attraverso di essa il futuro presidente non ha usato le tecnologie disponibili online per condividere potere con gli elettori, bensì ha distribuito compiti, di fatto accrescendo la propria forza invece di rafforzare coloro che lo sostenevano».

Ma a cosa si deve il crescente allontanamento post-elezioni della presidenza dall’elettorato? «Dopo il voto è venuta meno per Obama e per il suo staff la necessità di interagire con una base di elettori attivi e tecnologicamente abilitati». Ad essa ha fatto posto «l’esigenza di gestire una macchina di comunicazione ormai collaudata, facile da controllare e – per usare le parole di David Plouffe per definire la loro mailing list da 13 milioni di elettori – persino “migliore della televisione”. Uno strumento con cui aggirare i media mainstream» e parlare direttamente ai cittadini. Se la cosa non ha funzionato dipende dal fatto – spiega ancora Sifry – «che non si può ordinare a un volontario di fare questo o quello, lo si deve motivare» altrimenti la macchina di comunicazione, per quanto sofisticata, tecnologica e social, non serve a nulla.

Insomma, quando chiediamo se Obama riuscirà a ripetere la “magia” del 2008, Sifry risponde spietato: «Non ci sarà magia in queste elezioni, solo frustrazione e disperazione. Obama farà molta fatica a motivare la sua base a causa dei molti compromessi ai quali è dovuto scendere. La principale motivazione dei suoi sostenitori – continua – sarà vincere sui Repubblicani, ma un voto “contro” non ha neanche lontanamente la forza di un voto a favore. Ciò detto, Obama parte in vantaggio perché nessuno può vantare al suo attivo asset come il sito my.barackobama.com, una mailing list da milioni di utenti e 17 milioni di amici su Facebook».

Change they all believed in: le presidenziali USA ‘08 raccontate dall’ex blogger di Obama Sam Graham-Felsen/2

Come promesso, ecco di seguito la seconda parte dell’intervista integrale con Sam Graham-Felsen, ex Chief Blogger per Barack Obama durante l’ormai leggendaria campagna elettorale per le presidenziali statunitensi del 2008. In queste righe Sam racconta come sia radicalmente cambiato il modo di fare attivismo politico, condivide la sua visione sul futuro delle campagne elettorali “empowered” dalle nuove tecnologie di comunicazione e si lascia involontariamente sfuggire un commento impietoso sul digital divide nel nostro Paese. (Una versione ridotta dell’intervista è stata pubblicata su Nova24 – IlSole24Ore di Giovedì 14 aprile, pagina 21)

– La prima parte è disponibile qui

Il futuro della comunicazione politica

Interessante anche la visione di Graham-Felsen rispetto a quali tecnologie verranno adottate in futuro nelle campagne elettorali: «La prima volta che ho fatto attivismo politico, ho dovuto guidare per due ore e andare in un altro Stato, – racconta –  dove mi hanno dato un foglio, una penna e un telefono per chiamare potenziali elettori. Nel 2008 potevo lavorare comodamente nella mia stanza da letto, dov’ero vincolato da una connessione di rete, mentre nel 2012 credo che il più vasto cambiamento verrà dall’affermazione del mobile, e consentirà alle persone di fare attivismo ovunque esse si trovino». Un domani ormai prossimo potremo ad esempio disporre di applicazioni per smartphone che, sfruttando servizi di geolocalizzazione come Foursquare, «sapranno avvisarci che a cento metri dal punto in cui ci troviamo abita un elettore indeciso e interessato a saperne di più sul nostro candidato, dandoci quindi la possibilità di scegliere se andare a bussare alla sua porta e raccogliere dati preziosi». Dati che, manco a dirlo, inseriremo in un database in tempo reale tramite una connessione mobile.

Insomma, quello che ci aspetta è un futuro nel quale Internet e le tecnologie di comunicazione che essa porta in dote saranno non solo disponibili ovunque, ma diverranno anche sempre più centrali al confronto politico.  Il tutto però senza che queste – sottolinea Graham-Felsen – possano mai sostituirsi del tutto al confronto faccia a faccia tra le persone, al calore di una stretta di mano. «Domani come ieri – spiega -non saranno le tecnologie, ma le persone che le usano per cambiare lo status quo a fare come ancora una volta la differenza». E a chi obietta preoccupato che in rete oggi trovano spazio e visibilità soprattutto gli estremisti, siano essi di destra o di sinistra, l’ex chief blogger di Obama risponde sbilanciandosi in una previsione ottimistica: «Nel lungo termine – afferma – le persone impareranno ad usare meglio la rete, a sfruttarne gli strumenti per informarsi, per capire cosa accade loro intorno e per formarsi un’opinione più equilibrata che consenta loro di partecipare alla conversazione politica in modo sempre più civile  e costruttivo». Impossibile non augurarsi che abbia ragione.

In chiusura, c’è anche tempo per arrossire con un breve aneddoto: parlando con alcune persone venute a conoscerlo al Centro Studi Americani in occasione della sua recente visita a Roma, a un certo punto Sam rimane interdetto quando scopre che in Italia il 50% della popolazione non è online. Poi si riprende e, citando quello che è  «solito dire nei paesi in via sviluppo come il Perù», spiega come chi già ha accesso alla rete debba «battersi non solo perché quell’accesso sia esteso a tutti e diventi un diritto, ma anche affinché sia percepito dalle persone come tale». Un paragone di certo involontario, quasi una gaffe priva di polemica, che tuttavia dà drammaticamente la misura di quanto arretrato debba sembrare il nostro Paese a chi viene da fuori.

Anche se prima è passato dal Perù.

Change they all believed in: le presidenziali USA ’08 raccontate dall’ex blogger di Obama Sam Graham-Felsen/1

Di seguito la prima parte dell’intervista integrale con Sam Graham-Felsen, ex Chief Blogger per Barack Obama durante l’ormai leggendaria campagna elettorale per le presidenziali statunitensi del 2008. Qui Sam rievoca gli aspetti fondamentali di quel successo e gli effetti che esso ha avuto sul contesto politico americano, mentre nella seconda parte – di prossima pubblicazione – condivide la sua visione sul futuro dell’attivismo politico “empowered” dalle nuove tecnologie di comunicazione. Una versione ridotta dell’intervista è stata pubblicata su Nova24 – IlSole24Ore di Giovedì 14 aprile (pagina 21)

sam_graham-felsen“Tutto comincia da noi”. A venti mesi dalle elezioni presidenziali del 2012, il presidente degli Stati Uniti Barack Obamaancia online la campagna per ottenere il suo secondo mandato inaugurando un “claim” di sicuro effetto, rinnovando il sito web che porta il suo nome, pubblicando un video su Youtube e, soprattutto, aggiornando il proprio status su Facebook e Twitter.

L’intento è evidentemente quello di ripetere il successo del 2008. Dunque quale momento migliore per rievocare quell’impresa e tentare di comprenderne i segreti? Un compito non facile, per il quale abbiamo chiesto aiuto a Sam Graham-Felsen, giovane blogger e giornalista americano già “Chief Blogger” di Obama durante la sua fortunata campagna presidenziale.

Iniziamo con il chiedergli come hanno reagito gli altri politici americani, dopo le elezioni 2008, di fronte alla prova provata che Internet funziona per raccogliere soldi e voti: «La reazione – risponde – è stata sbarcare in massa in rete», luogo che fino a quel momento essi avevano sistematicamente ignorato e dove ora si lanciavano «a caccia di fondi e di consenso». Peccato però che «ancora oggi la maggior parte di loro fallisca nell’usare gli strumenti di comunicazione online perché applica strategie vecchie in un contesto nuovo, perché non conversa ma adotta una comunicazione “dall’alto” e unidirezionale, o ancora perché pubblica comunicati stampa su Facebook o spot tv su Youtube invece di creare contenuti pensati per il web, di cercare insomma un rapporto genuino con i propri elettori».

Una strategia, questa, né più né meno che opposta a quella tenuta dal New Media Team messo in piedi da Obama, uno staff di ben 100 persone che, racconta Sam Graham-Felsen, «non usavano gli strumenti di comunicazione presenti in rete per gridare ai quattro venti “guardate quanto è grande Obama”, ma al contrario per dire alla gente “guardate quanto siete grandi voi e che cosa potete fare”, quindi per fornire loro gli strumenti tecnologici necessari per conversare, organizzarsi e partecipare concretamente alla vita politica del Paese». Il tutto nell’ottica di instaurare una conversazione bidirezionale, genuina e trasparente secondo un approccio che, persino vista da qui, appare assai distante da quella dei Repubblicani: «Basta guardare quello che ha fatto e fa Sarah Palin – conferma il giovane blogger – che usa la rete solo per accrescere la propria forza e che non accetta il confronto, per esempio cancellando sistematicamente dalla sua pagina di Facebook commenti negativi e domande scomode».

Sam ha le idee chiare ed è uno “storyteller” nato. Facile quindi comprendere perché sia stato scelto per raccontare il complesso scenario delle presidenziali del 2008. Meno facile è invece accettare – specie per chi come noi è abituato alla “normalizzazione” costante e implacabile dell’informazione – che egli abbia avuto carta bianca per scrivere ciò che voleva, che accanto a lui non ci fossero «i soliti dieci responsabili delle pr in fila per approvare ogni suo post» o, ancora, che sia stato scelto perché giornalista senza esperienza di pubbliche relazioni, visto che simili competenze avrebbero potuto «intaccare la genuinità di ciò che doveva scrivere».

Una scelta che dà la misura del ruolo e dell’importanza che i contenuti hanno avuto nella campagna presidenziale di Obama: «Si è parlato a lungo del fatto che, grazie alla rete, abbiamo raccolto 500 dei 700 milioni di dollari necessari a sostenere la campagna elettorale, o che gestivamo una mailing list da milioni di nomi. Nessuno sembra però aver realmente capito – sottolinea Sam – che sono solo numeri, che non avremmo mai avuto tanta partecipazione se non fossimo stati in grado di raccontare storie capaci di ispirare le persone, di far sì che si impegnassero e restassero impegnate». E che ci siano riusciti lo conferma un dato su tutti: dei 3,2 milioni di donatori online intervenuti a sostegno della campagna presidenziale di Obama, la media ha dato più di due volte volte. Chiaramente un modo per sentirsi parte del processo e ribadire in più occasioni il proprio sostegno.

Di recente, alcuni osservatori hanno espresso perplessità rispetto al ruolo della rete nel successo elettorale di Obama, ricordando la possente campagna di quello che potremmo definire marketing tradizionale (spot tv, pubblicità sui principali giornali on- e offline ecc.) lanciata a sostegno del futuro presidente e pagata fior di dollari. Rispetto a questo tema Graham-Felsen taglia corto: «E’ vero che molti dei soldi della campagna sono andati in pubblicità, tuttavia è sciocco dire – come alcuni fanno, – che Obama non abbia beneficiato della rete quanto dei media tradizionali, e questo semplicemente perché non saremmo mai arrivati in televisione senza l’enorme sostegno economico avuto attraverso la rete».

Altri detrattori hanno invece sostenuto che il successo costruito da Obama e dal suo staff con le attività online sia stato di corto respiro, leggendo la sonora sconfitta incassata dai democratici alle elezioni di medio termine anche come la conferma di quanto effimero sia il consenso conquistato in Internet. Graham-Felsen non è d’accordo: «In questa nuova fase campagna elettorale il presidente non ha replicato il successo del 2008 perché semplicemente ha cambiato approccio alla comunicazione online. Dopo l’elezione si è giustamente circondato di consiglieri dalle strategie più tradizionali, che comprensibilmente vedono la mobilitazione della base attraverso Internet con una certa apprensione». Come a dire: Obama ha sbagliato, ma forse non poteva farne a meno.

Mobilitare la base richiede infatti che si ceda parte del controllo, e questo può essere pericoloso per chi detiene il potere. Dal canto loro, «gli utenti della rete si mostrano più inclini ad essere mobilitati in battaglie contro lo status quo che non a suo favore», chiaro quindi che Obama fatichi molto di più ora a raccogliere consensi attraverso la rete che non prima, «quando poteva far leva su otto anni di governo Bush».

Continua …

Obama e la rete, nel bene e nel male – #ijf11

nova24_pg22_Graham-felsen_sifry“It begins with us”. Con un claim di sicuro effetto, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha lanciato online la campagna per il suo secondo mandato, ben venti mesi prima delle elezioni 2012.

Quali i segreti delle straordinarie ascesa e vittoria che hanno caratterizzato le ormai storiche elezioni del 2008? Quali le sfide e gli ostacoli che l’attuale presidente USA deve affrontare nel rivolgersi di nuovo ai suoi supporter online (che, secondo molti osservatori, avrebbe “trascurato” dopo essere stato eletto)?

Ne abbiamo parlato con Sam Graham-Felsen, che nel 2008 di Obama fu il Chief Blogger, e con Micah L. Sifry, fondatore di Techpresident.com e del Personal Democracy Forum, che ha condiviso con noi la sua visione fortemente critica del “miracolo” Obama. Due interviste che trovate oggi, 14 aprile 2011, su Nova24 – IlSole24Ore a pagina 22.

Di questo e di molto altro parleremo ancora sabato prossimo al Festival del Giornalismo di Perugia, durante un panel intitolato “L’informazione politica nell’era dei media sociali” al quale parteciperanno gli stessi Sifry e Graham-Felsen insieme con Stefano Epifani, Antonio Sofi e Dino Amenduni.

Nel caso, ci vediamo alle 18 presso la Sala dei Notari.

“Dipendenti 2.0”, se ne parla su Nova24 e alla Social Media Week di Roma

Update: L’articolo “Nuovi eroi d’azienda” è disponibile anche online sul sito de Il Sole 24 Ore.

employee2.0Due righe per segnalare la pubblicazione domani su Nova24 (pagina 19) di un mio articolo dedicato ai “Nuovi eroi in azienda”, o meglio agli “HERO”. Un efficace acronimo creato da Josh Bernoff e Ted Schadler per definire gli “Highly Empowered and Resourceful Operative”, vale dire quei dipendenti creativi che si rivelano capaci di usare con disinvoltura le tecnologie online per servire al meglio i “nuovi clienti 2.0”.

Il pezzo è costruito intorno a più interviste: quelle con gli stessi Bernoff e Schadler, analisti Forrester e co-autori del libro “Empowered“,  sommate a una interessante chiacchierata con Mark Engelsman e Michelle Brusyo di Digital Brand Expressions, i quali a loro volta spiegano come governare l’implementazione di iniziative di comunicazione 2.0 in azienda evitando di finire nel caos.

Visto che in questo momento il tema mi è particolarmente caro, ho poi pensato bene di mettere a frutto gli spunti forniti da Bernoff&co per  organizzare un panel (insieme con Stefano Epifani e in qualità di partner Info) da tenersi mercoledì 9 febbraio nell’ambito della Social Media Week di Roma e intitolato (grazie al suggerimento di Antonio Pavolini“Employee 2.0 – Dalle relazioni istituzionali alle relazioni distribuite” .

Se la cosa è di vostro interesse, fate un salto a trovarci e portatevi dietro qualche buona domanda da girare ai nostri relatori. Per avere tutte le informazioni e per registrarsi (gratuitamente) è sufficiente collegarsi alla pagina dedicata all’evento, oppure partire direttamente dal form qui sotto.

Due chiacchiere con Maxwell Salzberg e Ilya Zhitomirskiy, co-fondatori di Diaspora

– Attenzione: update alla fine –

diasporaA fine settembre ero a New York per partecipare alla O’Reilly Web2.0 Expo. Nei giorni del convegno, ho conosciuto e intervistato per Nova24 – IlSole24Ore Maxwell Salzberg e Ilya Zhitomirskiy, due dei quattro giovanissimi programmatori dietro quel progetto Diaspora, tornato oggi agli onori delle cronache con l’atteso lancio della private Alpha. E’ il primo, timido passo nel mondo reale di quello alcuni osservatori hanno soprannominato il potenziale anti-Facebook: un social network che gli utenti potranno autogestire controllando in prima persona ogni singolo aspetto della loro privacy, decidendo cosa condividere e mantenendo pieno possesso dei propri dati personali.

In attesa di vedere come andrà a finire, ecco cosa mi hanno raccontato Maxwell e Ilya durante la nostra breve chiacchierata:

Il popolo di Internet alla ricerca di privacy
Da qualche mese a questa parte, quattro ragazzi americani con poco più di vent’anni lavorano almeno 12 ore al giorno con un obiettivo che dire ambizioso è dire poco: restituire agli utenti Internet il controllo di ciò che condividono online e, soprattutto, della loro privacy.

Per riuscirvi Daniel Grippi, Maxwell Salzberg, Raphael Sofaer e Ilya Zhitomirskiy – tre studenti di informatica e un matematico – hanno pensato di creare e distribuire gratuitamente un software completamente open source che, significativamente, hanno chiamato Diaspora. Quando sarà pronto, ogni utente potrà scaricarlo, installarlo sul proprio computer, quindi gestirne le funzionalità in piena autonomia per creare degli hub indipendenti, singole “piazze virtuali” dove riunire amici, parenti, colleghi di università o di lavoro.

«Vogliamo creare negli utenti maggior consapevolezza rispetto alla privacy, ma anche dare loro più controllo sui propri dati personali», conferma Salzberg, incontrato insieme con il collega Zhitomirskiy alla web2.0 Expo di New York. E, nel farlo, i quattro programmatori lanciano una sfida aperta ai grandi social network come Facebook o Twitter, il cui funzionamento si basa sul controllo centralizzato dell’hardware, del software e soprattutto dei dati relativi agli utenti. Controllo spesso esercitato con eccessiva non chalance fino a scatenare – come più volte successo con Facebook – vere e proprie sollevazioni popolari.

«Credo che in questo momento le persone siano molto preoccupate da ciò che accade ai loro dati – spiega ancora Salzberg – che si sentano in qualche modo tradite dai vari servizi online e, inoltre, che si fossero quasi rassegnate a perdere il controllo della loro privacy. Probabilmente è per questo che la nostra iniziativa desta tanto interesse: perché in molti speravano che qualcuno facesse qualcosa e desse loro un’alternativa». Un’alternativa come promettevi essere Diaspora, appunto, che a fine ottobre dovrebbe già vedere la luce in una prima, embrionale versione “alfa” già completa di tutte le principali funzioni previste dai suoi creatori.

Intanto lo sviluppo del software procede a ritmi serrati, reso possibile anche dallo straordinario sostegno economico venuto dalla stessa comunità online: a fine maggio 2010 il team di Diaspora aveva infatti avviato una raccolta fondi tramite Kickstarter, sito di crowdfunding che consente di presentare un progetto e chiedere sostegno economico al vasto popolo della rete per realizzarlo.

Il risultato è stato un successo senza precedenti: «A donare sono stati in 6479, per un totale di 200.641 dollari. La raccolta di fondi è durata 32 giorni e si è chiusa il primo giugno, segnando un record che per ora resta imbattuto ». E pensare che i quattro ragazzi avevano chiesto solo diecimila dollari.

Impossibile non chiedere a Salzberg e Zhitomirskiy come ne gestiscono il peso di tante aspettative da soddisfare. Risponde Ilya: «C’è chi pensa che non ce la faremo mai e chi crede in noi. La verità è che, di volta in volta, noi abbiamo soddisfatto e continuiamo a soddisfare le attese. Non c’è alcuna magia – prosegue Ilya – semplicemente, lavoriamo duramente 12 ore al giorno. Qualcosa funziona al primo colpo, qualcosa invece richiede ulteriore sviluppo: ciò che ci che dà forza è sentire l’entusiasmo della gente per quello che stiamo facendo. Entusiasmo che in molti modi sta plasmando il progetto stesso, iniziato come un “sogno da nerd” e diventato qualcosa che appartiene a tutti. Insomma – conclude Zhitomirskiy – è rispettando le nostre promesse che gestiamo la responsabilità che ci è stata data».

Chiaro, diretto, lucido. Direste che ha solo vent’anni?

Update : essendo uno tra le migliaia di donatori che hanno finanziato il progetto tramite Kickstarter, ho ricevuto una comunicazione ufficiale riguardo al rilascio della alpha di Diaspora. Eccone una parte:

Alpha Invites Coming
By Daniel G. Maxwell S. Raphael S. Ilya Z.
Hello backers,

Yesterday we started sending out invites for our Alpha server at https://joindiaspora.com. We are slowly inviting people, starting with the 6500ish of all of you. We are taking baby steps in this process, fixing problems as they crop up. This is going to help us solve problems we could have never anticipated. It may take awhile for them to get to all of you. Rest assured, they are coming.[…]

These are exciting times for all of us!

Thanks for supporting Diaspora,

Maxwell

Derrick de Kerckhove e l’amicizia ai tempi di Facebook (aggiornato)

UPDATE: l’articolo è disponibile anche online sul sito de IlSole24Ore

Oggi sul Nova24 – IlSole24Ore, pag.9, c’è una mia intervista con il sociologo canadese, direttore Programma McLuhan in Cultura e Tecnologia. Riporto qui l’attacco del pezzo per invogliarvi alla lettura:

«Oggi parole importanti come “amicizia” e “amico” non indicano lo status effettivo di una relazione, ma le sue potenzialità ancora tutte da esplorare», un futuro possibile che non si è ancora verificato. Derrick de Kerckhove, direttore del McLuhan Program in Culture and Technology, docente e sociologo di fama internazionale, sorride divertito mentre spiega come l’avvento dei social network, e in particolare di Facebook, stia modificando radicalmente il nostro modo di intendere i rapporti sociali, così come il significato che diamo alle parole usate per descriverli.

Come sempre, sono graditi i feedback.

Marten Mikos – Lasciare che i figli imparino ad affrontare i problemi da soli

Marten Mikos, senior vice president di Sun Microsystem, ha tre figli di età compresa tra 12 e 18 anni: «All’inizio ero solito proibire loro l’uso di Internet – racconta – ma ora non più. So che i miei figli possono vedere cose scioccanti e credo debbano saperle affrontare da soli. Io non li sorveglio perché non voglio farli vivere in uno “Stato di Polizia” e perché credo che troverebbero comunque il modo di aggirare regole e restrizioni».

E se oggi dovessero pubblicare in rete informazioni che fra trent’anni potrebbero metterli in imbarazzo? «Andiamo verso un’epoca in cui il problema riguarderà un po’ tutti e quindi smetterà di essere tale. In cui l’aver pubblicato qualcosa di imbarazzante a 15 anni non ci impedirà di essere eletti Primo Ministro a 50». Ma quale consiglio darebbe Mickos ai genitori più apprensivi?

«Fate come fareste nel mondo reale: accompagnate i vostri figli in rete spiegando loro passo passo cosa fare e non fare. Se c’è fiducia, poi saranno loro a venire da voi per chiedervi consiglio quando serve. In ogni caso non sono contrario a bloccare alcuni contenuti, così come quando ero piccolo io mi si impediva di vedere certi programmi alla tv. Attenzione però, – conclude – perché quando si vieta qualcosa a un bambino si scatena la sua curiosità. E’ il limite del semplice proibire».

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Questa breve intervista è parte dello speciale “Bambini a più dimensioni” pubblicato su Nova24 del 14 maggio. Per consultare il resto dell’inchiesta, segui i link di seguito

Vedi anche:
– Il pezzo d’apertura dello speciale “Bambini a più dimensioni”
– David Weinberger: “Educare i figli a discernere il vero dal falso”
– Dave Sifry: “Tutto resterà per sempre documentato in Rete
– Yossi Vardi: Dare ai giovani accesso alla rete e un codice etico per gestirla
– Doc Searls – Tenere i bambini lontano dalla tecnologia il più a lungo possibile
– Joi Ito – Non dobbiamo creare analfabeti digitali
– Maryssa Mayer – Internet porta in dote più benefici che rischi
– Chris Anderson – Navigazione protetta e accesso alle fonti di informazione come Wikipedia