I social network e le interferenze tra vita professionale e privata

Ieri Punto-Informatico riportava la notizia secondo cui il “Florida Judicial Ethics Advisory Committee” ha recentemente pubblicato il testo definitivo delle linee guida con cui disciplina il comportamento dei giudici sui social network. Linee guida nelle quali si vieta loro espressamente di aggiungere o di farsi aggiungere come “amici” dagli avvocati.

La notizia merita di essere ripresa innanzitutto perché ben si accorda con una simile qui riportata appena dieci giorni fa:

in Gran Bretagna la Medical Defence Union (MDU), organizzazione il cui scopo è “difendere la reputazione professionale dei suoi affiliati”, ha recentemente messo in guardia i medici dal rispondere ai messaggi privati (specie se si tratta di inviti più o meno sessualmente espliciti) inviati attraverso Facebook dai loro pazienti.

L’impressione è innanzitutto che di news come queste ne leggeremo sempre più spesso: l’uso dei social network ha come effetto collaterale un progressivo assottigliamento del confine che separa la vita professionale da quella privata dell’utente, e sono molti i casi in cui l’interferenza tra le due sfere può rivelarsi dannosa per l’immagine e la credibilità sia del singolo professionista, sia della categoria che esso rappresenta. Interferenza che ancora dobbiamo imparare a gestire.

Nel mondo del business il problema è noto da tempo e c’è già chi ha trovato rimedio: aziende come IBM o Sun Microsystem hanno infatti pubblicato delle articolate guidelines per istruire i propri dipendenti rispetto a cosa si potesse o non si potesse dire e fare su blog e social network. Si trattava tuttavia principalmente di precetti pensati per evitare la condivisione verso l’esterno di dati aziendali sensibili, mentre nei casi più recenti dei giudici americani e dei medici inglesi vengono invece sollevati problemi etici da istituzioni deputate a preservare l’integrità e l’immagine delle rispettive categorie professionali.

Il che suggerisce un inatteso parallelismo: qualche tempo fa l’imprenditore hi-tech israeliano Yossy Vardi mi diceva che l’approccio alla Rete dei più giovani andava gestito dando loro libertà d’azione e “un solido sistema di valori con cui poter misurare le proprie azioni”. Ora la cronaca recente sembra dimostrare che di tale sistema hanno largamente bisogno anche gli adulti impegnati sui più diversi fronti professionali.

Quasi a voler sottolineare come, di fronte all’immenso bagaglio di novità portato in dote dalla Rete, tutti noi si sia come bambini privi dei necessari punti di riferimento.

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