Il significato tradizionale di “generation gap” (o divario generazionale) è, come ricorda Wikipedia, “il divario di idee e norme culturali che separa la generazione più giovane dalle precedenti”. Tipicamente, l’espressione viene adottata (e spesso abusata) per definire la contrapposizione che caratterizza le relazioni tra genitori e figli.
Ora però le cose sembrerebbero essere cambiate: in un bell’articolo pubblicato sulle pagine del New York Times, Brad Stone prende infatti a prestito una recente ricerca del solito Pew Research Center per spiegare come oggi, complice l’incessante accelerazione dello sviluppo tecnologico, sia ormai il caso di parlare di “mini-gap generazionali”.
Ogni gruppo di bambini è influenzato direttamente e in maniera unica dagli oggetti tecnologici cui essi hanno accesso nelle fasi formative del loro sviluppo, e ciò fa si che “persone con due, tre o quattro anni di differenza vivono esperienze completamente differenti con la tecnologia”. E’ quanto afferma Lee Rainie, direttore del Pew Research Center’s Internet and American Life Project, che aggiunge:
“College students scratch their heads at what their high school siblings are doing, and they scratch their heads at their younger siblings. It has sped up generational differences.”
A cambiare non sono solo gli strumenti che ciascuna “mini-generazione” padroneggia, ma anche le aspettative che l’uso di differenti tecnologie genera e alimenta in loro. Per fare un esempio, quello che ora a un giovane con più di vent’anni può sembrare un piccolo miracolo, ovvero la possibilità di essere connesso alla Rete anche in mobilità usando uno smartphone, per un bambino sarà domani né più né meno che parte integrante e irrinunciabile della vita di tutti i giorni, come la corrente elettrica o l’acqua potabile.
Ovviamente ci sono delle controindicazioni come quella, assai rilevante, segnalata da Larry Rosen, professore presso la California State University: secondo Rosen, il fatto che i bambini imparino subito a comunicare in tempo reale usando gli strumenti disponibili in Rete, rischia di escludere rapidamente dal loro orizzonte comunicativo coloro che non sono in grado di rispondere alla stessa velocità e usando gli stessi tool, siano essi un genitore o anche solo un fratello maggiore.
Se poi dall’altra parte del “filo” c’è un insegnante, allora cose si complicano ancora di più. Spiega infatti Rosen:
“They’ll want their teachers and professors to respond to them immediately, and they will expect instantaneous access to everyone, because after all, that is the experience they have growing up. They should be just like their older brothers and sisters, but they are not.”
Difficile infatti immaginare un sistema educativo capace di adeguare metodi e strumenti d’insegnamento tanto velocemente da star dietro alle singole mini-generazioni, in grado di fornire loro un solido sistema di valori tramite cui giudicare le proprie azioni e, infine, di trovare modi sempre nuovi per coinvolgere il loro interesse e guidarli nell’apprendimento.
Difficile ma necessario, perché senza una scuola con queste caratteristiche il gap “fisiologico” che separa una generazione dall’altra rischia di divenire incolmabile.
Risorse
– NYT: “The Children of Cyberspace: Old Fogies by Their 20s“