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Online Ads, le dimensioni non contano

Nielsen ci delizia con ben due nuovi white paper intitolati “Reaching the Right Audiences Online: Early Findings from Nielsen Online Campaign Ratings,” e “Beyond Clicks and Impressions: Examining the Relationship Between Online Advertising and Brand Building”.

Come appare chiaro già dai titoli, i due rapporti affrontano il problema da prospettive diverse per cercare di rispondere alla stessa domanda: “La pubblicità online funziona o no?” Le risposte, niente affatto banali o scontate, non sono tutte incoraggianti. Ecco come la riassumono per key point quelli di Nielsen:

Tanto per cominciare, chi fa campagne online sbaglia clamorosamente mira e fallisce anche nel valutare i propri risultati quando si esalta davanti a un grande numero di impressions. Bigger is not necessary better.

– Online campaigns are being consistently delivered to people outside the advertiser’s intended audience.
– Campaigns with high impressions are still only reaching a fraction of the intended audience.

Una nota positiva è invece che, in alcuni casi, le online campaign risultano più efficaci di quelle televisive:

– Online delivers audiences more effectively than some popular TV shows.

La seconda mazzata arriva con la notizia che un caposaldo delle metriche con cui si misura l’efficacia della pubblicità online va farsi benedire. In altre parole, bye bye Click-through:

– Click-through rate is not the right metric to measure brand impact – virtually no relationship exists between clicks and brand metrics or offline sales.

Infine, una seconda nota positiva tra tante novità inquietanti:

– However, brand metrics for online campaigns can predict offline sales impact.

E ci credo. Date le allegre premesse, basterà dire “venderete poco e male” e siamo a posto.

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Di Tre, della mini-usim per iPad e di un servizio clienti che non c’è

Attenzione: update alla fine.

Allora, per una volta voglio dismettere i panni di chi queste cose le analizza al microscopio e indossare quelli del cliente furibondo. Il tutto per raccontare una simpatica storia che riguarda Tre, la sua mini-sim dedicata all’Ipad e il servizio clienti (se vogliamo chiamarlo così) che ci ruota intorno.

Partiamo dall’inizio: il 14 ottobre ricarico 20 euro sulla mia sim per iPad. Ieri (16 novembre) improvvisamente il tablet smette di navigare sotto copertura 3G senza motivo apparente (sotto wi-fi funziona). Il comportamento è lo stesso di quando si esaurisce il credito che però dovrebbe bastare ancora per tre mesi (e prima che qualcuno me lo chieda sì, il roaming dati è sempre disattivato).

Quale che sia la ragione di questo scocciante disservizio, vado in un negozio Tre di Roma per chiedere lumi e risolvere rapidamente la cosa. Ed è che qui comincia la parte divertente

La persona al desk mi dice che dal suo terminale – come da quello di tutti gli altri Tre Store – si può verificare solo se la mini-sim è attiva o no (la mia è risultata non attiva), ma non per quale ragione o se ci sono soldi sopra. Mi consiglia quindi di chiamare il 133.

Lo faccio con il mio telefono cellulare che, in quanto titolare anche di un contratto Tre, mi dà accesso gratuitamente al servizio. Digito il 133, fornisco il numero del mio cellulare come identificativo del cliente, parlo con un operatore che mi risponde picche: per avere assistenza sulla mini-sim per iPad devo fornire il numero della stessa al momento dell’identificazione, in modo da poter essere rinviato alla sezione consumer del customer care (ora sto invece parlando con la sezione dedicata ai clienti Business).

Richiamo e faccio come mi hanno detto: dopo millantamila passaggi (dove mai e poi mai la segreteria automatizzata del servizio clienti nomina l’iPad e la sua specifica offerta) riesco a parlare con un operatore. E’ palesemente di origini straniere e sembra non capire esattamente tutto quello che dico. Fa delle lunghe pause tra la richiesta di un mio dato e la risposta del terminale e qui, a voler pensare male, le cose sono due: o siede di fronte a un 486, oppure ci marcia, visto che alla fine dell’edificante colloquio può decidere di addebitarmi la chiamata.

Dopo aver impiegato molti e lunghissimi minuti per visualizzare a schermo i miei dati, finalmente bofonchia qualcosa di incomprensibile e mi dice che per la ricarica devo chiamare il 199 240 192. Quindi taglia corto e mi ringrazia per aver usufruito del servizio. Protesto dicendo che il numero segnalato è a pagamento. Il tizio risponde (magnanimo) promettendo che non mi addebiterà la telefonata.

Vedremo.

A questo punto, più che mai seccato, chiamo anche il 199 e spicci che ovviamente è a pagamento e costa 18 cent ala risposta e 57 al minuto – più IVA – e Sorpresa! E’ lo shop di Tre dove posso solo comprare ricariche. E dove pago per sentirmi dire da un operatore che il collega è un imbecille e che per queste cose devo chiamare il 133.

Un operatore che – è giusto sottolinearlo – fa di tutto per non attaccare.

Tento le ultime cartucce, ma se provo a registrare la mia mini-usim per iPad sul sito Tre.it, il sistema mi avvisa che la password temporanea mi è stata inviata con uno STRAMALEDETTO SMS (non una mail, sarebbe stato troppo facile) che l’iPad ovviamente non legge. Se infine provo a collegarmi alla pagina del sito di Tre specifica per consultare lo status della mini-usim (internet.tre.it) tramite 3G ovviamente non va, mentre via wi-fi allo stesso indirizzo si accede solo a una (per me inutile) pubblicità che promuove le chiavette USB.

Magari sono io che sono tardo. Magari i nostri amici di Tre possono mettersi una mano sulla coscienza e mostrarmi una soluzione evidente che solo io non ho visto. Se così dovesse essere allora sarò loro grato, sistemerò la faccenda e questo post verrà aggiornato per poi restare come esempio di worst practice (che serve, visto che in questo paese si conservano e raccontano solo le best practice) a vantaggio di altri clienti sprovveduti.

Oppure non sono così tardo, e magari vorranno ammettere che il servizio clienti di Tre (o almeno quello dedicato all’utenza consumer) è una barzelletta.

Stiamo a vedere

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UPDATE: chiamo il numero verde prontamente segnalato da 3Italia e resto al telefono per venti minuti. Una signora gentile (anche lei straniera e non agilissima nello spiegarmi in italiano come stanno le cose), mi dice che delle 20 euro che ho caricato sulla scheda lo scorso 14 ottobre:

1) 5 euro sono stati regolarmente caricati per attivare l’opzione super internet, mentre altri 5 sono stati caricati erroneamente una seconda volta per coprire la stessa opzione. Colpa secondo lei di un errore sistema, anche se non ha saputo dirmi di più.

Bene, restano ancora dieci euro. Scopro che:

2) dopo che ho ricaricato la scheda e soprattutto dopo che essa ha ricominciato a funzionare, ho navigato per diverse ore “a consumo” e l’opzione super internet è partita solo successivamente. In questo modo mi sono mangiato ben 10 euro di traffico che non vedrò mai più. E l’ho fatto senza saperlo e senza che nessun sistema o alert mi consentisse di scoprirlo.

“Quando ha comprato la scheda non le hanno detto che, in caso di sospensione per mancanza di credito e successiva riattivazione della sim, l’opzione superinternet riparte comunque dalla mezzanotte successiva?”, mi chiede grossomodo la signora.

“No signora, non me l’hanno detto. Mi hanno detto solo che la scheda (quindi la navigazione coperta dall’opzione, non l’una o l’altra) sarebbe stata attiva dopo mezzanotte (cosa che puntualmente è avvenuta con questa modalità)”, rispondo io.

“Da cosa avrei dovuto dedurre quello che lei mi racconta ora? E c0n quale strumento potrei verificare con certezza se la mia navigazione è in un dato momento coperta o non coperta dalla promozione che mi dà 3gb al mese?”, aggiungo un tantino risentito.

E qui arriva la ciliegina sulla torta: alla fine della telefonata, dopo che avevo incalzato con varie domande l’operatrice e dopo lungo un periodo di silenzio mentre lei “verificava una cosa”, stranamente la linea è caduta. Ma tu guarda il caso.

Dico, ma vogliamo scherzare?

Lento come Flash

Quelli di Gigaom mostrano come il tanto pubblicizzato supporto a Flash da parte di Android non sia esattamente onore e vanto per il sistema operativo creato da Google.

Difficile dire se sia colpa del Mobile OS di mountain View o se sia la tecnologia di Adobe a non volerne sapere di girare sui dispositivi mobili. Quel che è certo è che, nel post corredato di video, Kevin Tofel e Ryan Lawler sembrano decisamente propendere per la seconda ipotesi mentre vivono una user experience decisamente penosa.

Sta a vedere che alla fine Steve Jobs, pur ottenebrato dalla sua monumentale arroganza, non abbia avuto ragione (e non trovi presto alleati inattesi) nel decretare anzitempo (e di fatto accelerare vertiginosamente) la morte della tecnologia Flash.