Meglio tardi (e male) che mai. Con i suoi cinque anni canonici di ritardo rispetto al contesto statunitense, anche il mondo aziendale italiano prende atto di quel cambiamento in corso noto come web2.0 e muove passi incerti.
Era ora. Quando 4 anni fa ho iniziato a trattare l’argomento, mai avrei creduto di poter accendere un giorno il computer, consultare l’aggregatore e scoprire in una sola volta che:
- 1) Toyota ha aperto un blog per lanciare la nuova iQ (lascio agli autori un’altra settimana di rodaggio prima di esprime qualsiasi giudizio);
- 2) Fiat ha aperto un blog (intitolato simpaticamente duePUNTOzero) per aggregare la community di clienti Punto (leggi: uno splendido raccoglitore di comunicati stampa commentabili);
- 3) Vodafone ha messo in piedi un Lab online fatto di forum, wiki e blog (pessima scelta di tempi, viste le polemiche intorno al lancio dell’iPhone e alle indegne tariffe dati);
- 4) Visa ha investito due milioni di dollari per creare una business community su Facebook
In tutti i casi menzionati, lo scopo dichiarato – nobilissimo – è aprirsi alla “conversazione” in corso nella Rete, dialogare con gli utenti, confrontarsi a viso aperto con la clientela, condividere informazioni.
In tutti i casi menzionati lo scopo è, a mio avviso, in gran parte disatteso.