La storia che vi racconto ha due protagonisti: un blogger di nome Brandon Dilbeck, studente dell’Università di Washington, e Comcast, arcinoto internet service provider americano.
Il primo aveva pensato bene di usare il proprio blog (che per sua stessa ammissione è anche poco frequentato e commentato), per esprimere la sua insoddisfazione rispetto al servizio erogato dal provider USA.
Comcast, dal canto suo, ha letto il post di Dilbeck e quindi inviato una lettera di scuse al giovane studente, segnalando inoltre la pubblicazione sul proprio sito di una guida che avrebbe dovuto aiutarlo a risolvere il proprio problema.
Secondo Frank Eliason, digital care manager per Comcast, i blog sono la via migliore per comunicare con i clienti e risolvere i problemi più velocemente.
Per il sottoscritto, la strategia del provider segna il primo passo verso una nuova, più matura e più utile fase del rapporto aziende-blogger. Prima di provare a definirla, rivediamo brevemente quali sono le fasi che l’hanno preceduta, pietre miliari di un percorso ancora lungi dalla propria conclusione:
Fase 1: l’ignoranza – All’alba dei tempi, le aziende vivono serenamente in un mondo tranquillo e ovattato dove la comunicazione è sempre sotto controllo e top-down; dove l’utente è solo un ricettore passivo da condizionare a piacimento, la neonata internet un mero ricettacolo di brochure in flash, Facebook un “libro di ritratti”. La “rivoluzione” è già iniziata, ma nessuno sembra averla vista arrivare e non passerà molto prima che qualcuno si faccia anche male.
Fase 2: la paura e l’aggressività – Il risveglio alla dura realtà è improvviso e doloroso: internet non può essere controllato e (almeno nei paesi democratici) censurato. Gli utenti, armati fino ai denti di forum, blog e social network, possono finalmente e liberamente confrontarsi, condividere conoscenza, acquisire consapevolezza e, soprattutto, pubblicare giudizi su brand e prodotti che altri leggono e commentano. Un incubo per il management che, preso dal panico, spesso reagisce da par suo facendo largo ricorso agli uffici legali. Il risultato è, generalmente, un ulteriore danno d’immagine per l’azienda.
Fase 3: la diffidenza e l’ascolto – Il nemico è là fuori. Non ha forma ma ha dieci, cento, mille voci. Molte sono critiche, altre favorevoli, poche (ma inestimabili) danno preziosi consigli per migliorare la progettazione/produzione dei prodotti/servizi. Le aziende tendono le orecchie (o meglio, pagano qualcuno che le tenda per loro) e ascoltano la blogosfera e i social network, ben attente a non farsi scorgere mentre “origliano”.
Fase 4: l’illusione markettara – Rotto ogni indugio, molti manager si risolvono a scendere nell’arena della blogosfera. Sono convinti di poter tranquillamente esportare nel “nuovo mondo” vecchie e trite logiche di comunicazione e marketing “tradizionali”. Invece di cercare il dialogo e il confronto tra persone, tentano insomma di fare via blog e social network l’unica cosa di cui sono capaci: vendere. I deludenti risultati ottenuti gridano vendetta sotto al sole e suggeriscono un rapido cambiamento di rotta.
Fase 5: il confronto – Seppure rappresentino ancora una minoranza, molte aziende capiscono l’antifona e danno vita (con altreno successo) a iniziative in chiave web2.0. La tendenza, retaggio della comunicazione tradizionale, è ancora quella di parlare di sé in termini entusiastici piuttosto che raccontarsi e cercare un vero confronto con gli stakeholder, ma almeno il linguaggio è cambiato e si accetta finalmente di interagire con gli utenti in modo informale e alla luce del sole.
The next step: il dialogo one to one – Voler parlare con le persone è encomiabile; saperle ascoltare per poi rispondere tempestivamente e a tono, costruendo un dialogo uno ad uno, è oggi la vera frontiera del nuovo modo di rapportarsi tra azienda-cliente. L’esperimento di Comcast lo conferma.
Per quanto riguarda l’Italia, l’unico vero ostacolo al cambiamento in atto altrove mi sembra come sempre culturale: finché questo paese sarà infestato da imprenditori digiuni di internet e dalla querela facile, ci sarà ben poco spazio per la rivoluzione che tutti stiamo ansiosamente aspettando.