Da ben tre anni l’americana Association of National Advertisers (ANA, 400 aziende che gestiscono in totale 9mila brand), presidia (a modo suo) la blogosfera.
Inizialmente c’era solo un blog, ANA Marketing Musings, edito dal CEO Bob Liodice in persona, poi l’iniziativa deve aver preso la mano ai responsabili dell’associazione che, ebbri della prima esperienza, hanno pensato bene di aprirne altri due: l’ANA Regulatory Rumblings, edito dall’Executive Vice President Dan Jaffe, e il blog multiautore ANA Marketing Maestros.
A conti fatti, tale scelta mi appare difficilmente comprensibile: se infatti lo scopo dichiarato era avviare una costruttiva conversazione con opinion leader e stakeholder, quel “deserto dei tartari” che sono i commenti dei tre blog sarebbe dovuto bastare a chiunque per capire che l’operazione era andata a buca.
Non ai dirigenti dell’ANA, evidentemente, che preferiscono continuare a farsi del male. Vediamo perché:
– Identità grafica: tre blog, tre template identici piuttosto anonimi e monotoni, di certo difficili da distinguere. Senza dover ricorrere ad artifici grafici da mille e una notte, personalizzarne l’aspetto quel tanto che bastava a distinguere a colpo d’occhio un blog dall’altro sarebbe stato molto più saggio.
– Linguaggio: i post, spesso troppo lunghi, sono scritti con linguaggio troppo asciutto e freddo, da comunicato stampa, dove la ciliegina sulla torta è ben rappresentata dall’uso costante del plurale maiestatis “Noi”. Nulla da ridire sul valore tecnico dei contenuti che ho letto, ma non bastava (e non sarebbe stato molto meglio) veicolarli altrove lasciando in pace la blogosfera?
– La continuità della conversazione: anche ammettendo che quanto appena descritto sia conversare, tre post al mese di media sono una quantità semplicemente ridicola.
– Il rapporto con il lettore: dopo quando illustrato finora, l’utente che voglia ancora commentare sui blog dell’ANA si configura come un eroe. Mi sembra quindi giusto segargli le gambe obbligandolo a registrarsi per lasciare un commento.