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IJF10 – Identità, reputazione e privacy online: alcuni spunti (e un video) dal panel di Perugia

Volevo scrivere un rapido resoconto di quanto detto nel panel “Identità e reputazione nell’attuale contesto informativo“, poi ho scoperto che Matteo Stagi ne ha già scritto uno molto interessante, facendomi anche  il favore di dare un punto di vista esterno e “indipendente” sul confronto che ho avuto il piacere di moderare.

Prima però di rinviarvi al suo post, un solo appunto rispetto al contributo di Alessandro Gilioli, giornalista de L’Espresso e autore del bel blog Piovono Rane, che forse Matteo non ha potuto vedere fin dall’inizio: Alessandro non si è limitato ad arrogarsi “il diritto dei giornalisti a frugare informazioni ‘private’ su Facebook” e a sconsigliare “gli utenti dal comperarsi un vibratore su eBay”.

Gilioli apre il panel raccontando la storia vera di un uomo che, nel 1985, viene coinvolto in una rissa e finisce in un trafiletto di cronaca locale pubblicato su una testata del Gruppo Espresso-Repubblica. Dopo vent’anni, Repubblica decide di pubblicare gli archivi online proprio mentre l’uomo, che nel frattempo ha messo la testa a posto e si è fatto una famiglia, sta cercando lavoro. Deve avere un colloquio di lavoro e, per l’occasione, l’esaminatore con cui deve parlare cerca il suo nome su Google, scopre del peccato di gioventù e decide di non assumerlo.
Inutile dire che il protagonista di questa storia ha fatto causa a Repubblica e il procedimento è tutt’ora in corso.

Per Alessandro questo caso solleva un problema complesso e caratterizzato due aspetti principali:

Il primo aspetto è quello del rapporto tra “esplosivo” e “detonatore”, dove il primo altro non è che l’informazione – ad esempio una foto sconveniente o, appunto, la partecipazione a una rissa – che viene depositata online (da noi o da altri) dove resta per sempre, quasi in attesa di essere scoperta. Il detonatore sono invece i mainstream media che, quando intercettano quell’informazione, la fanno deflagrare travolgendo i protagonisti.

Seguendo questo ragionamento si arriva direttamente al secondo aspetto del problema, ovvero alla necessità di dare agli italiani un’educazione digitale: il problema dell’esplosivo e del detonatore non si risolve infatti con il diritto all’oblio (che secondo Guido Scorza corre anzi il rischio di sottrarre sostanza alla Storia stessa), né con l’intervento di aziende che promettono di fare pulizia online chiedendo in cambio una barca di soldi.

L’unica soluzione è alfabetizzare gli italiani che accedono alla rete spiegando loro con chiarezza quali implicazioni derivano dai loro comportamenti online. Solo agendo preventivamente, insomma, si può ridurre la quantità di esplosivo che ogni giorno viene riversata in rete da cittadini inconsapevoli.

Detto questo, riporto qui il video integrale del panel non senza prima avervi suggerito di fare un salto nel blog di Matteo e leggere la sua cronaca dell’evento.

Informazione di qualità

Diceva De Benedetti qualche tempo fa:

“L’accesso gratuito va bene per il flusso delle informazioni, e rappresenta un’opportunità straordinaria offerta da internet. Ma l’informazione che approfondisce, che spiega e fa comprendere, che verifica le fonti e contestualizza, è un informazione che costa e che, come tale, deve essere difesa”.

Ottimo. Adesso guardate l’occhiello di questo pezzo presente mentre scrivo nella home di Repubblica e ditemi quanti e quali errori riuscite a trovare:

repubblica - novi ligure - errori

Repubblica e CnrMedia sbagliano, il gruppo Facebook anti-Berlusconi è ancora lì

Update: Repubblica ha raccolto la segnalazione (pur evitando accuratamente di citare la fonte) e aggiornato il pezzo, raggiungibile sempre allo stesso link che trovate qui sotto (qui invece lo screenshot del pezzo com’era prima). Al momento CNRMedia porta ancora la “notizia” sbagliata.

Update 2: ora anche CNR Media ha aggiornato il pezzo. Cosa notevole, nel sito subito sotto l’aggiornamento, è disponibile anche il pezzo iniziale con l’informazione errata. In questo modo l’agenzia dà intelligentemente la possibilità ai lettori di ricostruire l’errore e avere l’informazione corretta in maniera trasparente.

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Scrive stamani Repubblica:

Facebook oscura il gruppo “Uccidiamo Berlusconi”
ROMA – Il gruppo nato su Facebook “Uccidiamo Berlusconi” è stato oscurato. Ne dà notizia CnrMedia.com. “Restano alcuni ‘cloni’ simili -viene rilevato- ma la denominazione originaria è stata cancellata dal social network. L’azienda di Palo Alto ha quindi risposto subito agli inviti del Governo italiano”.

La notizia è tratta da CnrMedia:

Il gruppo “Uccidiamo Berlusconi” di Facebook è stato oscurato. On-line ci sono ancora gruppi simili (dei cloni, come si dice in gergo) ma il gruppo originario è stato cancellato dall’azienda di Palo Alto che ha così obbedito alle richieste del Governo. Solo Facebook, infatti, poteva intervenire direttamente in così poche ore. Intanto nascono sul social network altri gruppi simili.

(CNR Media – 23/10/09)

Purtroppo è una collossale cantonata. Il gruppo, infatti, è ancora lì, forte dei sui 23mila membri, solo che ha cambiato varie volte nome tra ieri e questa mattina e quindi risulta difficile da trovare se non si dispone del link diretto e si passa per il motore di ricerca del social network.

Ieri sera i suoi admin avevano cambiato nome in “berlusconi,ora che abbiamo la tua attenzione…RISPONDI ALLE NOSTRE DOMANDE.”, con la frase sulla foto del premier che cambiava da “Uccidiamo Berlusconi” a “Berlusconi Vattene”; poi si era passati a “Uccidiamo Politicamente Berlusconi” e, infine, stamattina si è tornati alla versione che chiede l’attenzione del premier.

Immagino il collega di CNRMedia che fa la sua ricerca dentro Facebook, non trova in nessun modo il gruppo e trae le sue conclusioni, quindi scrive che gli amministratori in persona del social network hanno chiuso il gruppo dando seguito alla proteste del Governo perche “solo loro potevano farlo così in fretta”.

Un errore da dilettanti.

Impossibile a questo punto non citare il bel post di Luca Sofri intitolato “Il futuro dei media è fare le cose per bene”:

I media tradizionali accusano la rete di devastare la qualità dell’informazione in quattro modi diversi.
– Uno è la diffusione di notizie infondate, inaffidabili, false, non verificate. […]
Quando alla Gazzetta dello Sport mi proposero una rubrica settimanale di notizie uscite sui giornali che poi si sarebbero rivelate false (o che lo erano già palesemente) fui preoccupato di trovare materiale con abbastanza frequenza. Oggi, due anni e mezzo dopo, quella rubrica potrebbe avere frequenza doppia, e costituisce un repertorio indiscutibile di prove a carico dell’inaffidabilità dell’informazione italiana. Ci sono sostanzialmente tre tipi di falsità giornalistiche: quelle per cialtroneria che non sa e non controlla, quelle per adesione a un comunicato stampa o sondaggio, quelle per tifoseria politica. Vi mostro un po’ di esempi.

AviatorAZ, il blogger di Alitalia si arrende e chiude

Due giorni fa Repubblica scriveva un pezzo su AviatorAZ, pseudonimo con cui un anonimo steward dell’Alitalia firma da tre anni i post sul suo blog personale. (maggiori informazioni sono disponibili qui)

L’articolo metteva prima in grande risalto disservizi, guasti e difficoltà quotidianamente affrontate e documentate con tanto di foto dal blogger “volante”; poi “riorganizzava” abilmente tali testimonianze per costruire e sostenere una tesi semplice e chiara: i voli sulla nostra sventurata compagnia di bandiera non sono sicuri.

Subito è nato un botta e risposta tra il quotidiano e il blogger che, ritrovatosi suo malgrado famoso, ha preso la parola per difendere la propria azienda e smentire Repubblica: “Su quei voli ci salgo tutti i giorni anche io – ha risposto – e sono sicuri”.

Poi spiega: tutti i piccoli guai e contrattempi documentati sul blog non hanno mai compromesso la sicurezza in volo. Se sono stati raccontati online, è soprattutto per testimoniare i piccoli grandi gesti che ogni giorno il personale di una compagnia aerea deve compiere per tenere in piedi la baracca in tempo di crisi, vincendo mille piccole sfide quotidiane nel tentativo di offrire un servizio decente al cliente.

Parole che facevano veramente bene ad Alitalia e che, purtroppo, non ascolteremo più: lungi dal comprendere il senso dei post scritti da AviatorAZ e, sopratutto, bene imboccati dal “furbo” articolo di Repubblica, molti lettori (e tra loro anche vari dipendenti di AZ) hanno lasciato commenti inferociti a vari post sul blog dello steward, costringendolo infine a una più prudente ritirata strategica. Il blog ora è offline.

Peccato per la compagnia, che perde una voce critica ma leale e umana come mai ne aveva avute prima.

Peccato per Repubblica, che dimostra ancora una volta di non capire la blogosfera e – peggio ancora – di sapervi attingere solo per strumentalizzarne ai propri fini idee e contenuti. Nel caso specifico, per dare adosso ad Alitalia e, indirettamente, a quella parte politica che ancora nulla ha fatto per salvarla nonostante altisonanti promesse elettorali.

Peccato infine per AviatorAZ, che ha voluto gentilmente consegnare ai commenti di blogs4biz le sue amare parole di commiato dalla blogosfera:

“Grazie per la chiave di lettura che è stata data di quello che era il blog – scrive lo steward riferendosi al mio post di ieri – purtroppo ben pochi l’hanno vista così: la stragrande maggioranza s’è indignata invece per quello che è stato fatto vedere, fermandosi in modo miope alla semplice superficie, non capendone il senso.
Il rammarico è forte, per l’eco suscitata, per l’occasione persa a mio modo di vedere per migliorare le cose, non per renderle ancora più difficili per chi lavora in questa Azienda.
Come dice giustamente il sig. Rosati, tutto quello che si vede è assolutamente compatibile e in regola con le misure e dettàmi di sicurezza internazionali; i controlli sono incrociati e serrati. E pur volendo, non ho mai trovato qualcosa che non fosse compatibile [con gli standard di sicurezza n.d.r.]: se un aereo non è in assoluta sicurezza, resta a terra, si scende, e il coordinamento ce ne assegna un altro.
Un paragone, forse stupido: quanti di noi si mettono al volante della propria auto con “cognizione di causa”? Quanti fanno i controlli dell’olio, dell’acqua, delle gomme, dei fari e delle frecce, della chiusura delle portiere, della distribuzione di un eventuale carico a bordo, del liquido dei tergicristalli, ad ogni singolo spostamento? Immagino pochissime e rarissime mosche bianche.. bene in Alitalia questi controlli, con i dovuti paragoni, si fanno per ogni singolo volo di ogni singolo aereo in ogni singolo giorno dell’anno… e non li fa una sola persona”.

A chi poi lo accusa di aver chiuso il blog perché ha la “coscienza sporca”, AviatorAZ risponde:

“Coscienza sporca di cosa? la mia o quella di chi è responsabile degli sfaceli? e i provvedimenti nei confronti di chi dovrebbero essere presi? di chi ha consentito lo sfascio negli anni o di chi racconta cosa capita a bordo? non è spavento, o paura, ma la voglia di non continuare a porgere il fianco a questo tipo di interpretazione strumentale, questo è quello che non voglio”.

Facile immaginare che l’eco destata dall’articolo di Repubblica abbia scatenato un’immediata “caccia alle streghe” nella compagnia volta a smascherare “l’orribile delatore”, la “serpe in seno”.

Ecco: se davvero doveste trovarlo, allora dovreste dargli una promozione, un aumento, un pc e una connessione in Rete.

Ci guadagneremmo tutti.

AviatorAZ blog, lo voce non convenzionale di Alitalia

Come molti sanno, la nostra compagnia aerea è “nelle peste”. Da anni agonizza sull’orlo della bancarotta, salvata a più riprese da interventi governativi spesso contestati dalla concorrenza e alla stessa UE.

Faccio questa premessa perché sono almeno tre d’anni che, ogni volta che ho bisogno di spiegare il corporate blogging ricorrerendo ad un paradosso, sono solito dire che farei fare un blog persino all’Alitalia.

Non è uno scherzo:

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