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Report: un mondo di connessioni

Il quotidiano britannico The Economist pubblica “A world of connections”, uno report di sedici pagine che mette sotto la lente d’ingrandimento il modo in cui i social network online stanno cambiando il nostro modo di comunicare, lavorare e giocare per poi concludere che, fortunatamente, tali cambiamenti sono quasi sempre per il meglio

Come gli autori stessi spiegano nell’introduzione:

This special report will examine these issues in detail. It will argue that social networks are more robust than their critics think, though not every site will prosper, and that social-networking technologies are creating considerable benefits for the businesses that embrace them, whatever their size. Lastly, it will contend that this is just the beginning of an exciting new era of global interconnectedness that will spread ideas and innovations around the world faster than ever before.

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Il New York Times farà pagare i contenuti online

Settembre 2007: con una mossa che coglie tutti di sopresa, il New York Times apre gratuitamente al pubblico i suoi archivi storici online. Un enorme tesoro di informazioni esce dal recinto dei contenuti a pagamento, dove fruttava al giornale circa 10 milioni di dollari all’anno. Denaro che il management della testata conta di recuperare grazie all’advertising online.

Gennaio 2010: voci insistenti e autorevoli danno il NYT sul punto di mettere a pagamento tutti i suoi contenuti online. Il modello è quello del Wall Street Journal, dove la testata consente all’utente di navigare gratis alcuni articoli per poi bloccarlo e proporgli di abbonarsi.

Nella distanza siderale che separa queste notizie, la misura dell’impatto devastante che la crisi economica planetaria sommata al radicale mutamento nelle abitudini dei lettori (sempre più connessi in rete) hanno avuto (e stanno avendo) sull’intero sistema della stampa tradizionale.

Stampa che non vede quasi passare giorno senza che qualcuno ne annunci la fine predestinata: ultimo in ordine di tempo è stato Alan Mutter, secondo il quale “nel 2025 la popolazione dei lettori di quotidiani in Usa sarà inferiore di un terzo e fra 30 anni si ridurrà del 50%”.

Risorse:

– Alan Mutter: How long can print newspapers last? (Parte 1; Parte 2)

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Murdoch pronto a fare a meno di Google

Nel post precedente raccontavamo del magnate Rupert Murdoch, della sua intenzione di far pagare gli utenti per tutti i contenuti prodotti dalle sue testate online e, infine, di come l’inizio di questa vera e propria rivoluzione sembri ora destinato a slittare avanti nel tempo per ragioni imprecisate.

Ora scopriamo che il tycoon australiano ha deciso di rilanciare con forza il suo progetto aggiungendo un importante tassello: durante una lunga intervista rilasciata a Sky News Australia, Murdoch ha infatti spiegato che, quando i contenuti delle sue testate online diverranno accessibili solo agli utenti abbonati, farà anche in modo che essi vengano rimossi dal Google Search Index.

Lo scopo è evidentemente quello di impedire che le notizie prodotte dalla News Corp finiscano nell’aggregatore Google News. L’effetto collaterale, tutt’altro che trascurabile, è  l’esclusione delle testate controllate dal magnate australiano anche dal motore di ricerca Google.

News online a pagamento, la rivoluzione può attendere

Mentre la stampa di tutto il mondo lotta alla ricerca di nuovi modelli di business, in Australia vacillano persino le certezze del magnate Rupert Murdoch. La notizia è sulla bocca di tutti: dopo aver annunciato che entro un anno tutte le sue testate online avrebbero presto iniziato a diffondere solo contenuti a pagamento, ora veniamo a sapere dalle sue stesse parole che la piccola “rivoluzione” potrebbe slittare avanti nel tempo. Di quanto, non è dato sapere con certezza.

Visto che non capita spesso di vedere il tycoon australiano vacillare nelle proprie ferree convinzioni, l’evento merita un pizzico di approfondimento.

Tutto ha inizio lo scorso agosto, quando Murdoch annuncia al mondo la sua intenzione di rendere a pagamento tutti i siti d’informazione di sua proprietà entro l’estate successiva. Considerando l’estensione e l’influenza del suo impero mediatico, le sue affermazioni risuonano subito come una cannonata in tutto il settore. Riportava all’epoca il Guardian:

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Facebook tocca i 115 milioni di utenti e raggiunge Myspace

La rincorsa è finita. Solo due anni fa, il social network per eccellenza era MySpace e gli osservatori si interrogavano sulle ragioni del suo successo, sulle dinamiche di interazione tra i suoi utenti, sulle opportunità economiche che esso avrebbe offerto e persino sui rischi per gli utenti più giovani, facili prede di malintenzionati.

Poi venne Facebook, così simile eppure così diverso da Myspace, nato in contesto universitario per (semplificando) far incontrare gli studenti e far condividere servizi e applicazioni.

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