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Nelle stanze degli editor Mondadori: Antonio Franchini racconta Ayad Akhtar

Il mio antico amore per la letteratura straniera torna in questi giorni prepotentemente alla ribalta per fondersi con passioni più recenti come quelle per la rete, i social media e il videomaking. L’occasione è un progetto messo in cantiere per Mondadori, intitolato “Nella stanza dell’editor” e che consiste nella realizzazione di una serie di interviste con gli editor della casa editrice milanese. Mission: raccontare i libri attraverso le parole degli appassionati professionisti che li “prendono per mano” ed accompagnano verso la pubblicazione.

Nel primo video della serie parla Antonio Franchini,  il direttore editoriale della narrativa Mondadori, il quale presenta e racconta il romanzo d’esordio di Ayad Akhtar, “La donna che mi insegnò il respiro“.

buona visione

Carolyn McCall (GMG): le paywall soffocheranno il nostro giornalismo

Dal Guardian Media Group (GMG), gruppo editoriale dietro Guardian e Observer, prendono ancora una volta posizione contro la messa a pagamento dei contenuti giornalistici online. La prima a schierarsi contro i paywall era stata Emily Bell, digital director di Guardian News & Media (GNM), che aveva definito “stupida” l’idea di far pagare gli utenti. Qualche tempo dopo era poi intervenuto Alan Rusbridger, editor del Guardian, il quale aveva rincarato la dose definendo “folle” pensare che mettere i contenuti online a pagamento potesse bastare da solo a risolvere la crisi dei media.

Ora a prendere la parola è Carolyn McCall, CEO di GMG: in un’intervista con il Financial Times, essa sostiene che non c’è alcuna prova del fatto che i cosiddetti paywalls possano funzionare e generare entrate per i giornali. “It is not really the way the web works”, dice anzi la McCall, e aggiunge: “It is the wrong thing to do right now because the jury is out about whether that is the way consumers are going to get information. We will watch what happens.”

Un approccio che, pur confermando la linea precedente, a ben guardare appare molto più “aperto” e possibilista che in passato. Sebbene infatti il CEO di Guardian Media Group affermi chiaramente che le paywall finirebbero con il “soffocare il nostro giornalismo”, esso ammette contemporaneamente che la sua azienda aspetta di vedere come si evolve la situazione prima di decidere il da farsi. Se a questo si aggiunge che, nel corso dell’intervista, la McCall si lascia anche sfuggire che alcuni “contenuti specialistici” andrebbero pagati e che MGM ha già sottoposto al vaglio “six different pay models”, allora il quadro è completo: il Guardian Media Group non vuole far pagare agli utenti i contenuti online, ma è comunque ancora all’affannata ricerca di un nuovo modello di business che ne garantisca la sopravvivenza.

Il New York Times farà pagare i contenuti online

Settembre 2007: con una mossa che coglie tutti di sopresa, il New York Times apre gratuitamente al pubblico i suoi archivi storici online. Un enorme tesoro di informazioni esce dal recinto dei contenuti a pagamento, dove fruttava al giornale circa 10 milioni di dollari all’anno. Denaro che il management della testata conta di recuperare grazie all’advertising online.

Gennaio 2010: voci insistenti e autorevoli danno il NYT sul punto di mettere a pagamento tutti i suoi contenuti online. Il modello è quello del Wall Street Journal, dove la testata consente all’utente di navigare gratis alcuni articoli per poi bloccarlo e proporgli di abbonarsi.

Nella distanza siderale che separa queste notizie, la misura dell’impatto devastante che la crisi economica planetaria sommata al radicale mutamento nelle abitudini dei lettori (sempre più connessi in rete) hanno avuto (e stanno avendo) sull’intero sistema della stampa tradizionale.

Stampa che non vede quasi passare giorno senza che qualcuno ne annunci la fine predestinata: ultimo in ordine di tempo è stato Alan Mutter, secondo il quale “nel 2025 la popolazione dei lettori di quotidiani in Usa sarà inferiore di un terzo e fra 30 anni si ridurrà del 50%”.

Risorse:

– Alan Mutter: How long can print newspapers last? (Parte 1; Parte 2)

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E-book, i retailer francesi si coalizzano contro Amazon&Co

I cinque principali bookseller francesi chiamano a raccolta il governo e gli editori per costruire insieme una piattaforma digitale specializzata nella vendita di e-book. Scopo del progetto è resistere all’avanzata di colossi come Google, Apple e soprattutto Amazon e, quindi, mantenere in casa il controllo di un mercato in piena esplosione.

Lo riporta la Reuters che, oltre a indicare Fnac e Virgin Megastore tra i sottoscrittori della proposta, registra anche un certo scetticismo con cui questa è stata accolta da Francis Lang, direttore delle vendite per Hachette Livre. Secondo Lang, una piattaforma francese per la vendita degli e-book gestita in comune da editori e distributori non funzionerebbe perché, attualmente, gli interessi delle due parti in causa non coincidono:

Creating a governance structure where everyone is around the table but their interests are opposed is the best way for this not to go anywhere.

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The future is self-organised

L’inizio del 2010 ha portato in dote un numero consistente di previsioni per il futuro che ci attende da qui a dieci anni. Delle molte lette, quella che forse più colpisce è frutto dell’ingegno di David Cushman:

We’re in for a big change: Where the noughties were a decade of discovery, the teens will be a decade of realisation. And not discovery of new tech. The future isn’t digital; it is self-organised.

The noughties were when we discovered our self-organising power – little by little. And new models started to emerge. But we are embarking on 10 years in which people all over the globe will realise the self-organising power now at their fingertips – and start turning that realisation into the world they want; niche by niche.

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John Smith (BBC): far pagare per le news online è una buona idea

Alla fine di novembre la BBC era una voce fuori dal coro. Mentre, infatti, molti editori esprimevano apprezzamento per Rupert Murdoch e il suo progetto di far pagare i contenuti online della Newscorp, l’emittente britannica faceva sapere per bocca di Sir Michael Lyons, BBC Trust chairman, di “non avere alcuna intenzione” di mettere le proprie notizie online a pagamento.

Ora però le cose devono essere in qualche modo cambiate se è vero che, come riferisce The Australian Business, il Worldwide chief executive di BBC, Mr John Smith, ha ufficialmente espresso il suo sostegno al progetto di Murdoch definendo la sua iniziativa “a good idea”. Un parere di peso, specie se si considera che la vasta offerta di contenuti online distribuita gratuitamente dalla BBC rappresenta un forte deterrente per gli editori intenzionati a proteggere i propri contenuti dietro un “paywall”.

“Colonising every bit of internet and charging people for it, sounds like the right strategy, but it will be tough,”, ha detto senza mezzi termini Smith, smentendo e anzi di fatto contraddicendo quanto affermato poco tempo fa anche da un altro importante personaggio della sua azienda, il direttore generale Mark Thompson, secondo cui far pagare per le news online era l’ultimo disperato tentativo di sopravvivere messo in campo da un impero dei media ormai in caduta libera.

Due posizioni agli antipodi espresse all’interno della stessa azienda, che in qualche modo danno la misura di quanto profondamente e dolorosamente la proposta di Murdoch stia scuotendo l’industria editoriale interazionale.

India, gli editori si schierano a difesa dei loro contenuti

Stamani Luca De Biase scriveva a proposito delle “strategie degli editori che tentano di dividere il web” dicendo che:

Nel modello del web come ecosistema, invece, tutti si aiutano a crescere e tutti hanno bisogno di tutti. Ma i percorsi di accesso sono liberamente decisi dal pubblico. Il che mette in crisi alcuni modelli di business. Ma ne apre di nuovi.

Una visione assolutamente condivisibile che tuttavia non sembra trovare d’accordo gli editori riuniti in India per partecipare al World Newspaper Congress. A voler ben guardare, per loro la crisi della “newspaper industry” richiede un “drastico ripensamento” che sembra anzi andare esattamente nella direzione opposta.

Riassumendo gli elementi emersi finora durante il convegno, in corso nella citta di Hyderabad, emerge che:

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Il Pulitzer apre ai blogger

Internet non sta cambiando soltanto il modo in cui viene prodotta o fruita l’informazione, ma anche il modo in cui ne viene riconosciuta e premiata la qualità: gli organizzatori del Premio Pulitzer hanno infatti reso noto di aver nuovamente cambiato le regole con cui assegneranno nel 2010 il prestigioso riconoscimento, ampliando di parecchio la cerchia dei papabili tra i protagonisti dell’informazione online.

Già l’anno scorso si era provveduto a estendere l’eleggibilità al premio in tutte e quattordici le categorie esistenti anche alle testate giornalistiche presenti solo online, purché “primarily dedicated to original news reporting and coverage of ongoing events.”

Ora anche questa restrizione cade: i nuovi criteri di idoneità richiedono solo che il luogo dove viene pubblicato un contenuto sia “a text-based United States newspaper or news site”, che pubblichi contenuti almeno settimanalmente e che li produca tenendo fede agli “highest journalistic principles.”

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Wishful thinking

Sul corporate blog di Google News si legge a proposito del programma “First Click Free”:

Gli editori che scelgono di partecipare consentono ai nostri crawler di indicizzare i loro contenuti a pagamento, quindi permettono agli utenti che li scoprono attraverso Google News o Google Search di visionare tutto l’articolo senza richiedere loro di registrarsi o sottoscrivere. Il primo click dell’utente è gratuito, ma se questi successivamente fa click su uno qualsiasi dei link presenti nell’articolo, a quel punto l’editore può mostrare una schermata con cui invita il lettore a registrarsi o a pagare.

Ora, sorvolando sulle ragioni tecniche per le quali Google ha creato questo programma, appare abbastanza chiaro il messaggio: attraverso Google Search e Google News l’utente ha la possibilità di visualizzare gratuitamente contenuti a pagamento, anche se in pratica non può navigarci dentro.

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Twitter è il moderno Walter Cronkite

MG Siegler su Techcrunch:

Mi rendo conto del fatto che ci sono molte persone che giudicano Twitter una cosa stupida che di certo non può valere un miliardo di dollari. Proviamo però a fare un passo indietro e a mettere le cose in un altro modo: per quel che può valere, quando io uso la parola “Twitter”, le do lo stesso significato che ha per il mio collega Steve Gillomor: non mi riferisco a un brand, perché per me significa “realtime web”.

Non importa che metodo usiamo per disseminare l’informazione, quel che conta davvero è che questa disseminazione è in corso.

E questo è il futuro.

Ciò detto, è inutile negare che al momento Twitter – lo strumento – è il canale migliore per consumare le notizie in questo nuovo modo. E’ il Walter Cronkite dell’informazione in tempo reale. E quando il prossimo grande evento avrà luogo, un numero crescente di noi sceglierà di accendere il computer (invece che la tv n.d.r.) per scoprire cosa sta accadendo. Così come saranno ancora di più in occasione dell’evento successivo.

Perché è cosi che va il mondo.

(Link)