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WebTV – La guerra nel salotto

Forse non ve ne siete accorti, ma nel vostro soggiorno è in corso una guerra: uno scontro fra titani che vede contrapporsi aziende del calibro di Google, Apple, Sony, Samsung e persino Amazon, il negozio online più grande al mondo.

Oggetto del contendere è la preziosa attenzione dei telespettatori, da bombardare con il solito, onnipresente advertising. E la posta in gioco è altissima, considerato che il mercato pubblicitario televisivo globale vale 180 miliardi di sonanti dollaroni.

webtvL’obiettivo ambizioso è riuscire a portare sul vostro televisore HD nuovo fiammante il mare magnum di contenuti video presenti in rete, renderli fruibili attraverso un semplice telecomando e – ovviamente – erodere consistenti fette di mercato a media tradizionali.

Ci hanno già provato, ma senza successo: negli ultimi dieci anni abbiamo visto nascere e morire diversi progetti per rendere Internet fruibile dalla tv. Oggi però le condizioni sono diverse: nelle case ci sono banda larga, copertura wi-fi e televisori digitali hd, mentre la rete è ricolma dei contenuti video più diversi, ospitati o aggregati da piattaforme e servizi come YouTube, Vimeo, Hulu, Blip.tv o Boxee. Abbondano anche i set top box, ovvero le scatoline che fanno da tramite tra televisore e web, affiancati da console con funzionalità simili come PS3 e Xbox.

I tempi sembrano insomma maturi affinché il web sbarchi nel televisore, come conferma l’ormai prossima discesa in campo di Google con la sua “Google tv”, e la sfida diretta che essa rappresenta per la Apple TV. Sfida interessante perché culmina nel confronto tra due filosofie opposte: la soluzione completamente chiusa e strettamente controllata proposta dall’azienda con la mela, contro il modello completamente aperto proposto da Google.

Vedremo come andrà a finire. Intanto vale la pena citare Jack Schofield, secondo il quale sarebbe la scelta del terreno di battaglia a essere sbagliata: in un mondo dove abbondano gli strumenti per la fruizione dei contenuti video (computer, smartphone, tablet, ecc.), gli utenti sono ormai abituati a vedere ciò che vogliono quando e dove più gli aggrada. Il salotto ha insomma perso quella centralità che aveva guadagnato negli anni ’50 e, proprio per questo, la sua conquista potrebbe non essere così determinante.

Photo: Ehavir

NOTA: questo post doveva essere il secondo box a integrazione del pezzo intitolato “La Tv fa Blip”, intervista con la co-fondatrice di Blip.Tv Dina Kaplan pubblicata oggi su L’Espresso (in Tecnologia, pg. 122-124). Dal momento che è rimasto fuori per ragioni di spazio, lo ripropongo qui.

Google is here, there and all around (in the news)

E’ una di quelle mattine in cui ti svegli, consulti le tue fonti e scopri che si parla di Google un po’ ovunque perché:

– Mountain View ha stretto un accordo con Sony in virtù del quale il gigante nipponico distribuirà Chrome insieme ai propri computer. Trattative con altri player del settore sono in corso.

– Veri o falsi che siano, circolano nuovi screenshot del sistema operativo Chrome. Da prendere con il beneficio di inventario.

– Techchrunch posta la prima parte di un’intervista con il CEO Google Eric Schmidt nella quale si parla di “Search, Books, News, Mobile, Competition And More”. Merita.

– Matt Hall mette a confronto giro d’affari e funzionalità l’Apple App Store dedicato all’iPhone con l’equivalente creato da Google per il suo Android. Quest’ultimo ne esce con le ossa rotte.

New Economy, da Paese delle Meraviglie a Terra Desolata

Tagliare i costi. Riorganizzare. Ottimizzare. Non passa giorno senza che la stampa annunci nuovi licenziamenti (effettivi o rivelati come prossimi dai soliti anonimi bene informati) che come una mannaia si abbattono sui lavoratori della new economy.

Esempio 1: partiamo con qualcosa di semplice. A ottobre Loic Le Meur, ex responsabile di Six Apart Europe ed oggi CEO di Seesmic, annuncia il licenziamento di sette dipendenti. Quisquilie direte voi. E’ un terzo del suo staff, rispondo io.

Esempio 2: nel corso di tutto 2008 Nick Denton, praticamente l’inventore nano-publishing con Gawker.com nonché il primo a trarne guadagni di assoluto rilievo, ha provveduto in varie riprese a chiudere i blog meno produttivi. I vari editor sono stati a volte riassorbiti nei blog ancora funzionanti, più spesso “reimmessi” sul mercato. E questo nonostante gli introiti pubblicitari per Gawker siano cresciuti del 39 per cento nel 2008.

Esempio 3: la cronaca più recente racconta di “riorganizzazioni” da numeri a 3, 4 e persino 5 cifre. Sun Microsystems, per citare qualcuno, deve “sacrificare” ben 6000 persone, circa il 18 per cento della sua forza lavoro, nel processo di ristrutturazione che ne dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) salvare le sorti.

Esempio 4: che dire poi di Yahoo!? Il motore di ricerca uscito con le ossa rotte dalla “danza della morte” con Microsoft e Google ha comunicato già ad ottobre il licenziamento di circa 1500 persone, ovvero il 10 per cento della propria forza lavoro.

Esempi 5 e 6: La cronaca di queste ore è ancora meno incoraggiante delle premesse. Da un lato c’è Microsoft, che voci insistenti (seppur non confermate) vogliono prossima a licenziare 15mila dipendenti su 90mila, la maggior parte dei quali distribuiti tra Europa, Medio Oriente e Africa.

Dall’altro c’è il gigante (dai piedi d’argilla) Sony che – rivela The Times – sarebbe ad un passo da una radicale ristrutturazione che dovrebbe lasciare a terra non meno di 8mila dipendenti.

L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, ma la sostanza non cambia: la crisi c’è, sta investendo pesantemente il mondo Hi-Tech e sta producendo un numero assai preoccupante di disoccupati prima ancora che – come mi suggeriva ottimista Tim O’Reilly – “eliminare i rami secchi del web 2.0“.

Il fatto che fosse stata abbondantemente prevista non consola. Cosa ancora peggiore, preoccupano persino le prospettive di spesa per il 2009 degli un tempo voraci consumatori americani, in barba alla pompa magna di eventi come CES e MacWorld, ormai privi della loro vera ragion d’essere.

Ci aspettano tempi duri.