Archivi categoria: social network

Report: un mondo di connessioni

Il quotidiano britannico The Economist pubblica “A world of connections”, uno report di sedici pagine che mette sotto la lente d’ingrandimento il modo in cui i social network online stanno cambiando il nostro modo di comunicare, lavorare e giocare per poi concludere che, fortunatamente, tali cambiamenti sono quasi sempre per il meglio

Come gli autori stessi spiegano nell’introduzione:

This special report will examine these issues in detail. It will argue that social networks are more robust than their critics think, though not every site will prosper, and that social-networking technologies are creating considerable benefits for the businesses that embrace them, whatever their size. Lastly, it will contend that this is just the beginning of an exciting new era of global interconnectedness that will spread ideas and innovations around the world faster than ever before.

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Quando l’avatar ottiene il mutuo

Se avete bisogno di chiedere un prestito o un mutuo, fareste meglio a pesare con attenzione le informazioni che intendete pubblicare sui social network ai quali siete iscritti, così come a scegliere con cura i vostri “amici”.

Secondo quanto rivela un report pubblicato da Erica Sandberg su CreditCards.com, sarebbero infatti già diversi gli istituti di credito che monitorano l’attività sui network sociali dei propri potenziali clienti per capire se possono fidarsi o meno di loro.

Scrive la Sandberg:

The idea here is that banks, credit card companies, mortgage issuers, and other lenders may have stumbled onto what they think is a solid new source of information that can help them determine who makes a good loan risk.

This is highly speculative stuff, of course, but the basic philosophy seems to be that financially sound people tend to cluster around those like them. So if your friends are solid, you must be a good bet.

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I social network e l’esercito dei conversatori

“Un terzo degli utenti Internet americani posta almeno una volta a settimana il proprio status update su siti di social networking come Twitter e Facebook”.

L’ultimo rapporto realizzato da Forrester Research, intitolato The New Social Technographics, torna a fotografare le abitudini dei “navigatori” statunitensi a circa due anni di distanza dalla sua prima edizione, curata dagli autori del bel libro “L’onda anomala” Josh Bernoff e Charlene Li.

Nella sua prima versione, il rapporto proponeva un’innovativa catalogazione delle varie tipologie di utenti Internet usando la metafora della scala (the ladder of behaviors) e raggruppandoli (dal gradino più basso che a quello più alto) in Inattivi, Spettatori, Socievoli, Collezionisti, Critici e Creatori. Ogni gradino della scala definiva il livello di interazione e partecipazione in rete di una precisa tipologia d’utenti, e oggi quella scala guadagna un nuovo “step”: i Conversatori.

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Zuckerberg e la fine della privacy

Secondo Mark Zuckerberg, la privacy è un concetto sostanzialmente superato. Durante una recente intervista con Michael Harrington, l’arcinoto fondatore di Facebook ha infatti affermato che, se dovesse lanciare oggi la sua piattaforma di social networking, tutte le informazioni relative agli utenti sarebbero di default pubbliche invece che private.

Il perché è presto detto:

People have really gotten comfortable not only sharing more information and different kinds, but more openly and with more people. That social norm is just something that has evolved over time.

Insomma, il costume è cambiato e oggi le persone che si connettono online per interagire tra loro preferiscono condividere piuttosto che nascondere. Per questo lo scorso dicembre, quando il management di Facebook ha mutato radicalmente i criteri di gestione della privacy dei propri utenti (favorendo di fatto le pubblicazione di informazioni personali e suscitando non poche polemiche), l’intenzione era semplicemente adeguarsi alle nuove norme sociali.

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Mini-generation gap

Il significato tradizionale di “generation gap” (o divario generazionale) è, come ricorda Wikipedia, “il divario di idee e norme culturali che separa la generazione più giovane dalle precedenti”. Tipicamente, l’espressione viene adottata (e spesso abusata) per definire la contrapposizione che caratterizza le relazioni tra genitori e figli.

Ora però le cose sembrerebbero essere cambiate: in un bell’articolo pubblicato sulle pagine del New York Times, Brad Stone prende infatti a prestito una recente ricerca del solito Pew Research Center per spiegare come oggi, complice l’incessante accelerazione dello sviluppo tecnologico, sia ormai il caso di parlare di “mini-gap generazionali”.

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Quando Twitter entra in redazione

Lo scorso marzo Ruth Barnett, multimedia producer del sito Sky News, veniva nominata “Twitter correspondant” e incaricata di presidiare la piattaforma di micro-blogging a caccia di notizie e spunti utili al lavoro dei suoi colleghi.

Oggi l’esperienza maturata in quell’esperimento si riversa nel lavoro di tutti i membri della redazione: come ha da poco annunciato Julian March, executive producer di Sky News Online, entro breve ogni giornalista in forze al sito avrà installato sul proprio computer un client per Twitter (nello specifico, Tweetdeck) e potrà quindi monitorare di persona l’enorme quantità di messaggi che milioni di utenti si scambiano ogni giorno.

Una piccola rivoluzione che la stessa March descrive brevemente così:

“The big change for us in 2010 is evolving how social media plays a role in our journalism. We no longer ghettoise it to one person, but are in the process of embedding throughout the whole team”.

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The future is self-organised

L’inizio del 2010 ha portato in dote un numero consistente di previsioni per il futuro che ci attende da qui a dieci anni. Delle molte lette, quella che forse più colpisce è frutto dell’ingegno di David Cushman:

We’re in for a big change: Where the noughties were a decade of discovery, the teens will be a decade of realisation. And not discovery of new tech. The future isn’t digital; it is self-organised.

The noughties were when we discovered our self-organising power – little by little. And new models started to emerge. But we are embarking on 10 years in which people all over the globe will realise the self-organising power now at their fingertips – and start turning that realisation into the world they want; niche by niche.

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Dalla privacy alla “publicy”

Stowe Boyd si interroga sul significato di concetti come sfera pubblica e sfera privata nell’epoca di Internet, quando cioè le persone sono continuamente spinte a condividere con il mondo ogni genere di informazioni personali.

In un post che merita di essere letto, egli arriva a definire il rovesciamento di paradigma determinato dall’avvento della Rete e, soprattutto, dei social network: fino a ieri, tutto ciò che riguardava le nostre vite era privato e, di volta in volta, eravamo chiamati a scegliere cosa rendere pubblico e cosa condividere con gli altri.

Oggi invece online accade esattamente il contrario: tutto ciò che ci riguarda è pubblico di default, e noi dobbiamo intervenire per decidere cosa vogliamo che resti parte nostra sfera privata.

Una condizione talmente nuova da richiedere il conio di un nuovo termine per definirla: “publicy”.

There is a countervailing trend away from privacy and secrecy and toward openness and transparency, both in the corporate and government sectors. And on the web, we have had several major steps forward in social tools that suggest at least the outlines of a complement, or opposite, to privacy and secrecy: publicy.

The idea of publicy is no more than this: rather than concealing things, and limiting access to those explicitly invited, tools based on publicy default to things being open and with open access.

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Twitter, i social network e il trionfo dell’umanità

Dalle pagine del Times Online, Biz Stone, co-fondatore di Twitter, riflette sul ruolo di megafono della protesta svolto dalla piattaforma di micro-blogging durante le elezioni in Iran e, più in generale, su cosa sia veramente Twitter e perché sia così importante per le persone che lo usano:

My co-founder Evan Williams and I have spent the past 10 years developing large systems that allow people to express themselves and communicate openly. We are united in our belief that software has the ability to augment humanity in productive and meaningful ways. […] For us, it has been a year during which we realised that no matter how sophisticated the algorithms get, no matter how many machines we add to the network, our work is not about the triumph of technology, it is about the triumph of humanity.

Many people have assumed that Twitter is just another social network, some kind of micro-blogging service, or both. It can be these things but primarily Twitter serves as a real-time information network powered by people around the world discovering what’s happening and sharing the news. The Iranian election was the most discussed issue on Twitter in the final year of a decade defined by advancements in information access.

Risorse:

– Times Online: “Why we can never rest: a year in the life of Twitter

Un anno di social media in pillole

“2009 in Social Media” è un video godibile che riepiloga a suon di vignette molti degli avvenimenti che hanno animato i media sociali nell’anno che sta per chiudersi.

La sequenza, realizzata da Rob Cottingham di Social Signal, si apre con l’elezione del primo presidente degli Stati Uniti “social media savy” e procede raccontando con pungente ironia fatti come la violazione di molti VIP account su Twitter, il sorpasso di Facebook ai danni di MySpace, la comparsa di Google Latitude e Google Wave, o ancora la chiusura di Geocities, lo scandalo Domino’s Pizza e l’uso di Twitter come megafono della protesta in Iran.

Uno sguardo critico e divertito sul 2009 che, pur senza voler essere esaustivo (non si parla ad esempio dell’enorme eco avuta dalla morte di Michael Jackson), si propone come un promemoria da consultare riflettendo e sorridendo mentre ci prepara ad affrontare un 2010 ormai alle porte.

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